        L&rsquo;iconica livrea con la quale Max Biaggi e Shin'ya Nakano portarono al debutto la RSV4 nel mondiale Superbike torna a rivivere grazie ad una serie limitata che la casa di Noale ha presentato in occasione del round americano del motomondiale. SBK, ESCAMEZ: "HONDA, ULTIMI MA NON PER MOLTO" Edizione limitata ad effetto nostalgia L&rsquo;Aprilia RSV4 ha rappresentato la casa veneta nel WorldSBK per una decade, a partire dalla stagione del debutto nel 2009 al 2018, ultimo anno in cui furono schierate per tutta la stagione le moto di Noale dal team Milwaukee. In questi dieci anni Aprilia ha lasciato il segno riuscendo a conquistare sette titoli mondiali (tre piloti e quattro costruttori), 44 successi di manche e 102 podi. Quando nel 2008 venne annunciato il ritorno di Aprilia nel mondiale Superbike nessuno si sarebbe immaginato che quella che avrebbe esordito da li a pochi mesi sarebbe stata una delle moto pi&ugrave; vincenti della storia del WorldSBK. La prima stagione inizi&ograve; con Max Biaggi in grado di salire sul podio gi&agrave; alla seconda gara in Qatar, pista dove un paio d&rsquo;anni prima vinse al debutto tra le derivate di serie, poi nella fase centrale del campionato tanti piazzamenti in top10 ma anche complice il duello al vertice tra Ben Spies e Noriyuki Haga la vittoria sembrava non riuscire ad arrivare. A Donington Max torna sul podio, in seconda posizione mettendosi proprio tra i due rivali al titolo prima che le ostilit&agrave; si spostino a Brno. La pista ceca per la sua conformazione &egrave; sempre stato uno dei terreni di caccia preferiti del corsaro, in Gara1 il pilota romano sfrutta la strada lasciata spianata dalla caduta di Ben Spies per involarsi in solitaria verso il primo successo della casa di Noale nel WorldSBK con la Aprilia RSV4. Era il 26 luglio del 2009 e oggi Aprilia decide di festeggiare i 15 anni dal primo successo con la RSV4 Factory SE-09 SBK. Di base &egrave; una Aprilia RSV4 Factory a cui la casa di Noale ha aggiunto di serie il parafango anteriore una coppia di prese d&rsquo;aria per i freni in carbonio. Accanto alla sportiva, Aprilia ha presentato anche la Tuono V4 Factory SE-09 SBK, la hyper-naked che come la SBK Replica si &egrave; tinta degli stessi colori della moto con cui Max Biaggi ha conquistato il primo successo nel mondiale Superbike.   Aprilia quanto manchi Quello &egrave; stato solo il primo di tanti successi, sia per Max che per la casa di Noale. Biaggi infatti nella stagione successiva con la RSV4, questa volta con un&rsquo;altra iconica livrea quella della compagnia aerea di bandiera italiana, conquister&agrave; dieci successi di manche ed il suo primo titolo mondiale SBK. Max Biaggi si ripeter&agrave; due anni pi&ugrave; tardi mentre nel 2014 a centrare il terzo titolo piloti per la casa di Noale fu Sylvain Guintoli. Ai tre titoli mondiali piloti, Aprilia ha sommato anche quattro costruttori, il primo nel 2010 aggiungendo poi il tris consecutivo tra il 2012 e il 2014. Negli ultimi anni Aprilia ha smesso di produrre la RSV4 1000 passando all&rsquo;attuale RSV4 1100 Factory che per&ograve; non pu&ograve; partecipare al WorldSBK (parteciper&agrave; invece alla classe STK del FIM Endurance World Championship grazie alla collaborazione tra il Team Aviobike e Revo-Nuova M2 Racing). L&rsquo;edizione limitata presentata da Aprilia ad Austin fa salire il rimpianto di molti appassionati che non possono pi&ugrave; sostenere la casa di Noale nel WorldSBK, sperando che in futuro i regolamenti consentano alla casa veneta il ritorno in uno dei campionati dove pi&ugrave; ha fatto storia.  SBK, PETRUCCI: "UNA DELLE CADUTE PI&Ugrave; SPAVENTOSE DELLA MIA VITA"       

Ad Austin la casa di Noale ha presentato una nuova edizione limitata della propria superbike per celbrare i 15 anni dalla prima vittoria nel mondiale delle derivate di serie

Aprilia celebra il primo successo in SBK con la RSV4 Factory SE-09 SBK

Difficile se non impossibile scegliere solo 10 moto in oltre 100 anni di competizioni a due ruote, ci abbiamo provato scegliendo 10 moto da corsa che vanno dagli anni &#39;80 ai giorni d&rsquo;oggi. Ci sarebbero moltissime moto meritevoli di stare in questa lista come la Honda 166, la BMW R75/5, la Moto Guzzi V8 o la Norton Manx ma sono perse nel passato ed &egrave; ormai raro anche per gli appassionati poterle vedere. Ecco dunque la nostra scelta, in ordine rigorosamente alfabetico:  Aprilia RS 250 V  Partiamo con una moto della quale abbiamo gi&agrave; dedicato un articolo completo sulla sua storia, la &ldquo;duemezzo&rdquo; di Noale ha corso dal 1993 al 2009 anno in cui la 250 ha corso la sua ultima stagione nel motomondiale. Bicilindrica da 249,6cc rigorosamente 2 tempi, 105cv nella sua ultima versione per poco meno di 100kg di peso ha letteralmente dominato la classe di mezzo vincendo 150GP su 290 a cui ha preso parte. Vincere con la moto di Noale &egrave; stato il trampolino di lancio per moltissime delle MotoGP Legend degli ultimi 20 anni: Max Biaggi, Loris Capirossi, Valentino Rossi e ancora Jorge Lorenzo e Marco Simoncelli che l&rsquo;ha portata alla vittoria con il marchio Gilera.    &nbsp;  Aprilia RS Cube  Restiamo in Veneto con la prima MotoGP della casa di Noale, la RS Cube fu un progetto forse troppo avanzato per le tecnologie dell&rsquo;epoca. Con l&rsquo;arrivo del 4t nel motomondiale e l&rsquo;introduzione della MotoGP, Aprilia decise, come qualche anno prima con la RS400 di andare controtendenza rispetto a quanto fatto dalle giapponesi. Se Honda e Yamaha scelsero rispettivamente un V5 e un 4 in linea, a Noale pensarono che un tre cilindri di derivazione Cosworth potesse essere sufficiente per lottare ad armi pari coi giapponesi. La moto nel 2002 era effettivamente la pi&ugrave; potente in pista ed era accreditata di 240cv con una velocit&agrave; massima che sfiorava i 330 km/h. Purtroppo la potenza &egrave; nulla senza il controllo e non bastarono soluzioni come il primo ride by wire o la frizione in carbonio a rendere le moto di Noale competitive in MotoGP.    &nbsp;  Aprilia RSV4  Passiamo alle derivate di serie, anche qui Aprilia dice la sua con la RSV4, arrivata nel 2009 in listino e portata in gara da Max Biaggi e Shin&#39;ya Nakano&nbsp;con la V4 di Noale il romano &egrave; riuscito a centrare un successo a Brno nella stagione di debutto della creatura di Gigi Dall&rsquo;Igna. Negli anni successivi il binomio tra la moto veneta e il pilota romano divenne quasi imbattibile permettendo a Biaggi di conquistare due titoli mondiali SBK. Iconica la stagione 2010 dove con una RSV4 sponsorizzata Alitalia, il corsaro conquist&ograve; il suo primo titolo nelle derivate di serie con 10 successi di manche e 4 podi. La SBK di Noale conquister&agrave; anche il titolo con Sylvain Guintoli nel 2014, facendo salire a 54 i titoli iridati di Aprilia.    &nbsp;  &nbsp;  Cagiva C594  Una delle moto italiane pi&ugrave; famose degli anni &rsquo;90, la Cagiva C594 &egrave; stata l&rsquo;ultima 500 della casa varesina. Telaio misto carbonio-alluminio (di cui abbiamo gi&agrave; parlato qui), motore 4 cilindri a V di 80&deg; 498,3cc ovviamente a 2 tempi alimentati da carburatori Mikuni TV da 39 a valvola piatta con power jet elettronico. La moto lombarda raggiungeva 185cv a 12.500 giri. Con la C594, Cagiva arriv&ograve; a lottare quasi ad armi pari con i colossi giapponesi tanto che John Kocinski termin&ograve; in terza posizione il campionato 1994. Le sue linee quasi senza tempo portarono la casa di Varese a riprenderle quando nel 2008 present&ograve; l&rsquo;ultima evoluzione della Cagiva Mito 125 SP525.    &nbsp;  Ducati Desmosedici GP7  La prima moto iridata in MotoGP della casa di Borgo Panigale che con Casey Stoner nel 2007 conquist&ograve; 10 successi e 4 podi su 18 gare, con Loris Capirossi che festeggi&ograve; a Motegi l&rsquo;unico successo stagionale nel giorno in cui Casey Stoner vinse il titolo mondiale. Nel 2007 la MotoGP pass&ograve; da 990cc a 800cc e Ducati grazie alla propria distribuzione desmodromica riusc&igrave; fin da subito a mostrare una potenza ed una velocit&agrave; irraggiungibile per le case giapponesi. Motore portante V4 di 90&deg; e telaio ancora in traliccio di tubi d&rsquo;acciaio (il monoscocca in carbonio debutter&agrave; solo nel 2008) e gomme Bridgestone completarono un pacchetto che con il talento dell&rsquo;australiano in sella fu quasi imbattibile.    &nbsp;  Ducati 916  Quando una moto, e le sue eredi, passano alla storia con il nome di &ldquo;serie perfetta&rdquo; ci sarebbe poco da aggiungere. La 916 e le successive 996 e 998, hanno fatto la storia del mondiale SBK tra il 1994 e il 2002 vincendo 6 titoli piloti in 9 anni di corse grazie a Carl Fogarty, Troy Corser e Troy Bayliss, ultimo a portare al successo la &ldquo;serie perfetta&rdquo; prima dell&rsquo;arrivo della 999 F03 che apr&igrave; un nuovo ciclo di vittorie per la casa di Borgo Panigale. Telaio ovviamente in traliccio di tubi d&rsquo;acciaio, motore bicilindrico a L con la cilindrata che &egrave; salita dai 916cc ai 998cc col passare degli anni. Sicuramente l&rsquo;essere la Ducati pi&ugrave; vincente della storia ha aiutato il successo commerciale, ma siamo certi che anche senza tutte quelle vittorie in pista le linee disegnate da Massimo Tamburini l&rsquo;avrebbero resa, ancora oggi, una delle moto pi&ugrave; belle di sempre.    &nbsp;  &nbsp;  Honda RC211V 2002  La prima vera MotoGP, quando nel 2002 il motomondiale introdusse la nuova classe riservata ai prototipi da 990cc 4, HRC cre&ograve; un vero e proprio pezzo d&rsquo;arte contemporanea. Mentre tutte le altre case derivarono le loro prime MotoGP dalle 500, la casa dell&rsquo;ala dorata cre&ograve; da zero un nuovo progetto che si rivel&ograve; di fatto imbattibile. Motore V5 da 75,5&deg; in grado di erogare oltre 240cv, una ciclistica affilata con un telaio perimetrale in alluminio ed un peso contenuto a 148kg. Nella stagione di debutto vinse 14 gare su 16, ovviamente la maggior parte di queste, 11, se le aggiudic&ograve; Valentino Rossi mentre le restanti 3 se le spartirono il suo compagno di squadra nel team Repsol Toru Ukawa e Alex Barros che dopo aver iniziato la stagione con la &ldquo;vecchia&rdquo; 500 nel finale di stagione ricevette la RC211V e conquist&ograve; la vittoria a Motegi e Valencia.    &nbsp;  Honda VTR750R RC30  Anche della VTR750R abbiamo gi&agrave; parlato ampiamente in un suo pezzo dedicato, la moto che nacque per volere di HRC per il mondiale Superbike e che si rivel&ograve; pressoch&eacute; imbattibile nei primi anni del mondiale delle derivate di serie e non solo. Con la RC30 arrivarono successi a raffica anche nelle road race e nel mondiale Endurance.    &nbsp;  Suzuki RGV 500 Gamma  Debutta nel motomondiale nel 1987 al posto della precedente RG,&nbsp;termina la propria carriera nel 2001 al termine della vita delle 500 da GP. Nonostante una carriera cos&igrave; lunga, la moto di Hamamatsu conquist&ograve; solo due titoli mondiali, uno nel 1993 con Kevin Schwantz&nbsp;ed il secondo nel 2000 con Kenny Roberts Jr. Solo due titoli in quindici anni di carriera, eppure la RGV ancora oggi &egrave; una delle moto pi&ugrave; riconoscibili e amate dagli appassionati.    &nbsp;  Yamaha R7  Ultima ma solo per ordine alfabetico una delle moto pi&ugrave; rare che ogni collezionista e appassionato vorrebbe in garage, la Yamaha R7. Nata alla fine del secolo scorso per disputare il mondiale SBK fu prodotta in soli 500 esemplari, il minimo necessario per l&rsquo;omologazione FIM. 4 cilindri in linea da 749cc, 5 valvole per cilindro ed una potenza che con il kit race raggiungeva i 135cv. La moto era figlia dell&rsquo;esperienza in 500 di Yamaha tanto che il telaio la ciclistica, soprattutto il telaio deltabox in alluminio era figlio delle geometrie della YZR500.   

Una sigla, un dettaglio, spesso per passare alla storia basta veramente poco o perlomeno cos&igrave; &egrave; per questi dieci modelli

Le 10 moto pi&ugrave; iconiche di tutti i tempi

        Mondiale totalmente riaperto. E&rsquo; questo lo scenario del campionato 2023 quando la MotoGP lascia l&rsquo;India per proseguire il suo lungo tour asiatico. La vittoria di Bezzecchi e l&rsquo;ennesimo zero di Bagnaia nelle gare lunghe, hanno fatto s&igrave; che la classifica si accorciasse in modo da regalarci un finale di stagione bellissimo prima di arrivare a Valencia. Il secondo appuntamento del tour asiatico &egrave; un&rsquo;altra venue ormai storica del Motomondiale, il Gran Premio del Giappone sul Twin Ring di Motegi. Non tutti sanno che&hellip; Il Gran Premio del Giappone &egrave; entrato in calendario ufficialmente soltanto nel 1963 ma &egrave; stato assente per ben 20 anni a causa del ritiro dalle competizioni di Honda e Suzuki nel 1968. Dal 1962 al 1967 era la gara conclusiva della stagione ma non vi prendevano parte n&eacute; la classe 500 e nemmeno i sidecar. La gara, oltre che a Suzuka, si &egrave; svolta anche al Fuji nel biennio 1966-1967 per poi tornare in pianta stabile sempre a Suzuka dal 1987 al 2003, anno dell&rsquo;incidente mortale di Kato. Storia, caratteristiche e mondiali vinti al "Twin Ring"  Come abbiamo visto anche per altri Gran Premi che hanno cambiato spesso sede, cos&igrave; &egrave; stato anche per il Gran Premio del Giappone che si &egrave; disputato a Suzuka e Fuji per poi stabilirsi definitivamente a Motegi dal 2004. Prima che diventasse ufficialmente sede del Gran Premio del Giappone, Motegi &egrave; stato sede del Gran Premio del Pacifico dal 2000 al 2003. Con l&rsquo;incidente mortale di Kato a Suzuka nel 2003, l&rsquo;iconica pista a forma di 8 viene rimossa dal calendario per motivi di sicurezza (tutt&rsquo;oggi viene disputata la mitica 8h di Suzuka dell&rsquo;Endurance oltre alle gare asiatiche) per far spazio alla pi&ugrave; sicura Motegi&nbsp; Il Twin Ring Motegi &egrave; stato costruito ed inaugurato nel 1997 dalla Honda, tutt&rsquo;ora proprietaria della pista, sede dei test delle moto della Casa dell&rsquo;Ala. Si chiama Twin Ring perch&eacute; &egrave; un complesso che contiene due circuiti: lo stradale di 4.801 metri utilizzato dal Motomondiale e dalle gare asiatiche, e l&rsquo;ovale di 2.493 metri utilizzato per le gare automobilistiche.&nbsp; Il tracciato stradale di Motegi misura 4,8 km, ha una larghezza di 15 metri, il rettilineo pi&ugrave; lungo misura 762 metri, le curve sono 14, 8 a destra e 6 a sinistra. Per la MotoGP sono previsti 24 giri, 22 quelli della Moto2 e 20 quelli della Moto3.&nbsp; Pista titolata Da quando &egrave; nel calendario del Motomondiale, la pista di propriet&agrave; della Honda &egrave; stata teatro di cinque vittorie del titolo ottenute da tre piloti: 2007 Stoner, 2008 Rossi, 2014-2016-2018 Marquez. 23 settembre 2007, il GP del Giappone &egrave; l&rsquo;appuntamento 15 di 18 previsti in quella stagione. Stagione praticamente dominata da Stoner con la Ducati, Rossi con la Yamaha pu&ograve; poco contro lo strapotere della GP7 in mano all&rsquo;australiano. Con il sesto posto ottenuto in gara, Casey si laurea per la prima volta campione del mondo piloti e con lui fa festa anche Ducati che centra il titolo MotoGP appena quattro anni dopo dal suo debutto. &nbsp; 28 settembre 2008, il GP del Giappone &egrave; l&rsquo;appuntamento 15 di 18 previsti in quella stagione. Stagione vissuta tutta sul duello tra Rossi e Stoner per il titolo iridato e che si risolve a Motegi con vittoria e titolo per il Dottore a tre gare dalla fine del campionato. Titolo festeggiato con la solita maglia celebrativa &ldquo;Scusate il ritardo&rdquo; e dedicato poi alla memoria di Norick Abe, morto l&rsquo;anno prima in un incidente stradale. &nbsp; 12 ottobre 2014, il GP del Giappone &egrave; l&rsquo;appuntamento 15 di 18 previsti in quella stagione. Stagione clamorosa di Marquez con 10 vittorie nelle prime 10 gare. Dopo la vittoria a Silverstone, seguono due passaggi &ldquo;a vuoto&rdquo; a Misano ed Aragon, prima della vittoria matematica del titolo proprio a Motegi grazie al secondo posto alle spalle di Lorenzo.  16 ottobre 2016, il GP del Giappone &egrave; l&rsquo;appuntamento 15 di 18 previsti in quella stagione. Stagione che vede Marquez pi&ugrave; ragionatore rispetto alla stagione precedente, poche vittorie ma tanti piazzamenti. Il titolo arriva ancora in Giappone come nel 2014 ma questa volta gli viene servito su un piatto d&rsquo;argento grazie al doppio harakiri Yamaha: infatti Rossi e Lorenzo si auto eliminano dalla gara a 13 giri di distanza l&rsquo;uno dall&rsquo;altro.  21 ottobre 2018, il GP del Giappone &egrave; l&rsquo;appuntamento 16 di 19 previsti in quella stagione. Stagione che vede Marquez pi&ugrave; carico che mai dopo il duello per il titolo con Dovizioso finito solo alla gara di Valencia. A Motegi ancora una volta chiude i conti per il titolo con tre gare di anticipo vincendo la gara davanti a Crutchlow e Rins.  I tratti caratteristici del tracciato giapponese  La conformazione della pista di Motegi &egrave; abbastanza particolare: presenta 5 rettilinei, dei quali quello pi&ugrave; lungo &egrave; quello situato tra curva 10 e curva 11 che misura 762 metri ed ha una seconda parte in discesa, il tornantino lento di curva 10 e due punti che pi&ugrave; o meno si somigliano: curva 1-2 e curva 3-4. I punti di frenata pi&ugrave; difficili sono: curva 1-2, doppia destra piuttosto lenta dopo il rettilineo dei box che va raccordata in una unica traiettoria; curva 3-4, assomiglia per tipologia alla prima curva ed anch&rsquo;essa va raccordata; curva 5, una destra abbastanza impegnativa, facile sbagliare la traiettoria in uscita; curva 10, l&rsquo;unico tornante vero della pista giapponese, facile perdere l&rsquo;anteriore in frenata; curva 11, la destra in fondo al lungo rettilineo, facile andare lunghi.&nbsp; I punti, invece, di sorpasso sono: curva 1-2, arrivando dal rettilineo principale sfruttando la scia; curva 3-4, arrivando dall&rsquo;allungo fuori da curva 2; curva 5, arrivando dall&rsquo;allungo fuori da curva 4; curva 9, la sinistra che immette al breve allungo per curva 10; curva 10, si pu&ograve; fare ma &egrave; facile subire l&rsquo;incrocio di traiettoria; curva 11, sfruttando la scia del lungo rettilineo; per la classica chance da ultimo giro le curve 13-14 (Dovi-Marquez 2017 insegnano)&nbsp; Statistiche e record del Gran Premio del Giappone  Come abbiamo detto in apertura, il Gran Premio nella terra del Sol Levante si disputa in via ufficiale dal 1963, &egrave; stato assente per quasi 20 anni e non si sono disputate le edizioni del 2020 e 2021 (come del resto la 8h di Suzuka) per via della pandemia da Covid 19. Con quella di quest&rsquo;anno, sono 40 le edizioni della gara cos&igrave; suddivise: 19 a Suzuka, 2 al Fuji, 18 a Motegi. Il primo Gran Premio del Giappone valevole per il Mondiale risale al 1963 a Suzuka: vittorie di Luigi Taveri in classe 50 (Honda), Frank Perris in 125 (Suzuki), Jim Redman in 250 (Honda). Redman vinse anche la 350 ma non valeva per il Mondiale. L&rsquo;ultima gara disputata a Suzuka risale proprio a quel tragico 6 aprile 2003 segnato dall&rsquo;incidente di Kato: vincono Stefano Perugini in 125, Manuel Poggiali in 250 e Valentino Rossi in MotoGP. La prima gara disputata a Motegi risale al 1999: successi di Masao Azuma in 125, Shinya Nakano in 250 e Kenny Roberts Jr in 500 L&rsquo;ultima edizione, quella dello scorso anno, prima dopo il biennio di assenza causa Covid, ha visto i successi di: Izan Guevara in Moto3, Ai Ogura in Moto2 e Jack Miller in MotoGP&nbsp; Per quanto riguarda la MotoGP, la Pole 2022 &egrave; di Marc Marquez in 1&rsquo;55&rdquo;214 mentre il giro record in gara &egrave; di Jack Miller in 1&rsquo;45&rdquo;198 fatto segnare al nono giro. Resiste ancora l&rsquo;All Time Lap Record di Jorge Lorenzo del 2015 in 1&rsquo;43&rdquo;790 Per quanto riguarda la Moto2, la Pole 2022 &egrave; di Aron Canet in 2&rsquo;04&rdquo;939 mentre il giro veloce della gara &egrave; di Augusto Fernandez in 1&rsquo;50&rdquo;801. Resistono sia il giro record in gara di Franco Morbidelli del 2016 in 1&rsquo;50&rdquo;788 che l&rsquo;All Time Lap Record di Johann Zarco sempre del 2016 in 1&rsquo;49&rdquo;961 Per quanto riguarda la Moto3, la Pole 2022 &egrave; di Tatsuki Suzuki in 2&rsquo;11&rdquo;246 mentre il giro veloce della gara &egrave; di Jaume Masia in 1&rsquo;57&rdquo;360. Resistono sia il giro record in gara di Alex Marquez del 2014 in 1&rsquo;57&rdquo;112 che l&rsquo;All Time Lap Record di Hiroki Ono del 2016 in 1&rsquo;56&rdquo;443. MotoGP Giappone Orari       

Ecco tutto quello che c&rsquo;&egrave; da sapere sul tracciato di Motegi, dove nel fine settimana del 29 settembre-1 ottobre si svolger&agrave; il quattordicesimo appuntamento del Motomondiale

GP Giappone: curve, lunghezza e criticità per la MotoGP

        Questo inizio della stagione 2023 della MotoGP &egrave; pi&ugrave; ingarbugliato che mai, con Bagnaia e Bezzecchi ad alternarsi in cima alla classifica piloti. Nonostante l&rsquo;incidente di Le Mans, Pecco &egrave; ancora al comando con un punto di vantaggio sul compagno di marca nonch&eacute; amico in vista della prossima gara, il Gran Premio d&rsquo;Italia sul tracciato del Mugello. Non tutti sanno che&hellip;&nbsp; Prima di cambiare definitivamente nome in Gran Premio d&rsquo;Italia, dal 1949 e fino al 1990 il nome ufficiale della gara nel Belpaese si chiamava Gran Premio delle Nazioni. La storia del Gran Premio d&rsquo;Italia/Gran Premio delle Nazioni risale addirittura al 1914. Dal 1922 e fino al 1948 la gara era valida per il Campionato Europeo, con la nascita del Motomondiale nel 1949 il Gran Premio delle Nazioni entra subito a farne parte. L&rsquo;edizione di quest&rsquo;anno sar&agrave; la numero 74 della storia del Gran Premio, disputatosi su quattro tracciati: Monza (1949-1968, 1970, 1971, 1973, 1981, 1983, 1986, 1987), Imola (1969, 1972, 1974, 1975, 1977, 1979, 1988), Misano (1980, 1982, 1984, 1990, 1991, 1993), Mugello (1976, 1978, 1985, 1992, dal 1994 ad oggi) The Voice L&rsquo;edizione di quest&rsquo;anno del Gran Premio d&rsquo;Italia sar&agrave; la prima senza il suo speaker storico, Giovanni Di Pillo, scomparso lo scorso anno, che era solito salutare il tracciato toscano dalla cabina di commento con il suo famosissimo &ldquo;Mugelloooo, Buongiornooo&rdquo;. La nuova voce del Mugello sar&agrave; Carlo Bartalini, in coppia con DJ Ringo. Storia, caratteristiche, incidenti avvenuti al Mugello  Come per il Gran Premio di Francia, anche il Gran Premio d&rsquo;Italia ha spostato la sua sede sui maggiori tracciati italiani trovando nel Mugello la sua sede fissa per la gara soltanto dal 1994 dopo essersi alternato pi&ugrave; volte con Imola, Monza e Misano come abbiamo visto poco fa. La costruzione dell&rsquo;Autodromo Internazionale del Mugello &egrave; iniziata nel 1972 ed il tracciato &egrave; stato ufficialmente inaugurato nel 1974. E&rsquo; uno dei pochi tracciati al mondo a non aver mai subito cambi di layout nel corso degli anni, mantenendo il suo progetto originale. Con il tempo sono stati effettuati lavori di riasfaltatura, aggiunta di tribune e vie di fuga. Il tracciato &egrave; lungo 5,25 km ed ha una sede stradale di 14 metri di larghezza, &egrave; costituito da 15 curve, 6 a sinistra e 9 a destra ed il rettilineo pi&ugrave; lungo misura 1,14 km. Incidenti Nella storia del Mugello, sei sono gli incidenti degni di nota, l&rsquo;ultimo dei quali purtroppo mortale: Max Sabbatani nel 2002 in 125, Shin&rsquo;ya Nakano nel 2004 in MotoGP, Valentino Rossi nel 2010, Marc Marquez nel 2013, Michele Pirro nel 2018 e Jason Dupasquier nel 2021 Il 1&deg; giugno del 2002, durante le seconde qualifiche della 125, il 26enne di Forl&igrave; &egrave; caduto alla variante Materassi-Borgo S.Lorenzo rimanendo a terra per 20' con il piede destro incastrato nella ruota posteriore della sua Aprilia Il 6 giugno del 2004, durante il giro numero 12 della gara della MotoGP, esplode in pieno rettilineo la gomma posteriore della Kawasaki del giapponese disarcionandolo e facendolo rotolare fino alla San Donato Venerd&igrave; 4 giugno 2010, finale delle FP2. Valentino affronta le Biondetti come al suo solito ma questa volta viene sbalzato via dalla sua Yamaha finendo nella via di fuga e procurandosi la frattura di tibia e perone della gamba destra Venerd&igrave; 31 maggio 2013, FP2 della MotoGP. Lo spagnolo, subito dopo lo scollino dopo i box, in frenata perde l'anteriore della moto. Mentre la sua RC213V punta il muro verso sinistra, istintivamente si butta dalla parte opposta per evitare al massimo il contatto con il muro. Riporter&agrave; una ferita al mento. Forse l'incidente pi&ugrave; spaventoso visto sul tracciato toscano. Mancano 29' minuti al termine delle FP2 del venerd&igrave; 1 giugno quando Michele, nell'impostare la staccata della San Donato, viene sbalzato per aria dalla sua Desmosedici per poi ricadere a terra e rotolare per diversi metri nella via di fuga della curva stessa. Il 29 maggio 2021 durante le qualifiche della Moto3, Jason Dupasquier scivola alla Arrabbiata 2 venendo investito dai piloti che sopraggiungevano. Il giovane svizzero verr&agrave; dichiarato morto tra la notte di sabato e le prime ore della domenica  I tratti caratteristici del circuito del Gran Premio d&rsquo;Italia  I punti di frenata pi&ugrave; difficili del tracciato toscano sono: la San Donato, si arriva lanciatissimi dal lungo rettilineo e dallo scollino, bisogna attaccarsi ai freni per restare alla corda; la Luco, prima parte della variante iniziale del tracciato, arriva subito in uscita dalla San Donato; la Casanova, staccata in discesa molto difficile per il posteriore che tende a sollevarsi; Scarperia-Palagio, S destra-sinistra con prima parte in discesa piuttosto lenta; Correntaio, assomiglia alla curva 5 di Portimao leggermente in discesa e difficile per l&rsquo;anteriore della moto. I punti invece di sorpasso, invece,&nbsp;sono: San Donato, prendendo bene la scia sul rettilineo; Materassi-Borgo San Lorenzo, si pu&ograve; sorpassare in ingresso della variante sfruttando l&rsquo;allungo in uscita dalla Luco-Poggio Secco; Casanova-Savelli, i sorpassi pi&ugrave; folli sono avvenuti proprio in mezzo alla Casanova-Savelli (Pasini docet); rischioso ma possibile l&rsquo;azzardo alle Arrabbiate, soprattutto la prima; Correntaio; Biondetti (Lorenzo nel 2016); rischioso per il controsorpasso invece l&rsquo;azzardo alla Bucine. Statistiche e record del Gran Premio d&rsquo;Italia  Il Gran Premio d&rsquo;Italia taglia quest&rsquo;anno il traguardo delle 74 edizioni, di fatto il pi&ugrave; longevo della storia del Motomondiale e sar&agrave; anche il numero 1001 della storia. Le 73 precedenti edizioni sono cos&igrave; suddivise: 27 a Monza, 7 a Imola, 6 a Misano, 32 al Mugello. La primissima edizione del Gran Premio d&rsquo;Italia/Gran Premio delle Nazioni valevole per il Motomondiale si disput&ograve; a Monza nel 1949 con tripletta italiana firmata da Gianni Leoni in 125 su Mondial, Dario Ambrosini in 250 su Benelli e Nello Pagani in 500 su Gilera, mentre la prima gara disputata al Mugello risale al 1976 con successi di Angel Nieto in classe 50, Pier Paolo Bianchi in 125, Walter Villa in 250, Johnny Cecotto in 350 e Giacomo Agostini in 500. L&rsquo;edizione dello scorso anno ha visto invece i successi di Sergio Garcia in Moto3, Pedro Acosta in Moto2, Pecco Bagnaia in MotoGP, Dominique Aegerter e Matteo Ferrari nelle due gare di MotoE. Il pilota con pi&ugrave; successi al Mugello &egrave; Valentino Rossi con 9 centri, 7 dei quali consecutivi in MotoGP, segue Jorge Lorenzo con 7 vittorie. Per quanto riguarda la MotoGP, la pole 2022 &egrave; di Fabio Di Giannantonio in 1&rsquo;46&rdquo;156 mentre il nuovo giro pi&ugrave; veloce in gara &egrave; di Pecco Bagnaia in 1&rsquo;46&rdquo;588 (il precedente era di Zarco del 2021 in 1&rsquo;46&rdquo;810). L&rsquo;All time lap record &egrave; ancora di Quartararo del 2021 in 1&rsquo;45&rdquo;187 Per quanto riguarda la Moto2, la pole 2022 &egrave; di Aron Canet in 1&rsquo;51&rdquo;121 mentre il giro veloce in gara &egrave; di Augusto Fernandez in 1&rsquo;52&rdquo;323. Sam Lowes detiene ancora il record in gara in 1&rsquo;51&rdquo;208 mentre l&rsquo;All time lap record &egrave; di Raul Fernandez del 2021 in 1&rsquo;50&rdquo;616 Per quanto riguarda la Moto3, la pole 2022 &egrave; di Deniz Oncu in 1&rsquo;56&rdquo;811 mentre il giro veloce in gara &egrave; di Riccardo Rossi in 1&rsquo;57&rdquo;234. Fabio Di Giannantonio detiene ancora il record in gara in 1&rsquo;56&rdquo;628 mentre l&rsquo;All time lap record &egrave; di Tatsuki Suzuki del 2021 in 1&rsquo;56&rdquo;001 Per quanto riguarda la MotoE, lo scorso anno &egrave; stata la prima assoluta del campionato elettrico sul tracciato toscano. La pole &egrave; di Dominique Aegerter in 1&rsquo;59&rdquo;205, dello svizzero anche i giri record di gara 1 (1&rsquo;58&rdquo;939) e gara-2 (1&rsquo;59&rdquo;068) Orari Mugello       

Ecco tutto quello che c&rsquo;&egrave; da sapere sul tracciato del Mugello, dove nel fine settimana del 10-11 giugno si svolger&agrave; il sesto appuntamento del Motomondiale

GP Italia circuito: curve, lunghezza e criticità per la MotoGP

Un&rsquo;altra delle tappe iconiche del Motomondiale torna in calendario dopo due anni di assenza, esattamente come l&rsquo;Australia appena una settimana fa. Stiamo parlando del Gran Premio della Malesia, il secondo Gran Premio pi&ugrave; &quot;giovane&quot; di quelli storici del Motomondiale.  Il Gran Premio della Malesia di quest&rsquo;anno potrebbe essere decisivo per l&rsquo;assegnazione del titolo MotoGP con una gara di anticipo. Pecco Bagnaia ci arriva con 14 punti di vantaggio su Quartararo e 27 su Aleix Espargar&ograve; dopo il podio in Australia e le difficolt&agrave; dei due rivali sempre in quel di Phillip Island.  Storia   Di per s&eacute; il Gran Premio della Malesia non ha una vera e propria storia pregressa prima dell&rsquo;ingresso nel calendario del Motomondiale. Ingresso che avviene direttamente nel 1991 con il tracciato di Shah Alam come gara finale di quel campionato, praticamente una passerella visti i titoli gi&agrave; assegnati nella gara precedente e con parecchie defezioni causa infortuni. Edizione che ha visto la vittoria di Loris Capirossi in 125, Luca Cadalora in 250 e John Kocinski in 500.&nbsp;  Essendo il secondo Gran Premio pi&ugrave; giovane tra quelli storici del calendario, ne sono state disputate appena 29 edizioni e quella di quest&rsquo;anno sar&agrave; la 30^. In 29 edizioni, 21 sono state disputate sul tracciato di Sepang, entrato in calendario nel 1999, 7 a Shah Alam ed una sola a Johor.&nbsp;  &nbsp;  Nessuna vittoria malese ma 10 vittorie giapponesi   Nonostante la Malesia sia un popolo di motociclisti, nel Mondiale non c&rsquo;&egrave; mai stato un pilota malese realmente competitivo da poter vincere in casa, risultato peraltro sfiorato da Khairuddin nel 2012 in Moto3 giunto secondo e da Syahrin in Moto2 con il terzo posto.  Curiosamente, per&ograve;, il Gran Premio della Malesia conta 10 vittorie giapponesi: 2 per Ueda, 2 per Aoyama, una a testa per Aoki, Ui, Azuma, Harada, Nakano e Kato.  &nbsp;  Scrivi Malesia, dici Italia     L&rsquo;Italia &egrave; il Paese con pi&ugrave; successi in terra malese, ben 27 tra tutte le classi. Primatista &egrave; Valentino Rossi con 7 successi (6 in 500/MotoGP, 1 in 125) davanti a Max Biaggi con 5 affermazioni (4 in 250, 1 in MotoGP). Segue la Spagna con 22 successi (Dani Pedrosa primatista con 5 successi), poi l&rsquo;Australia con 10 (Mick Doohan primatista con 5 successi, segue Stoner con 4).  Rossi+Sepang=titoli e vittorie ma anche gag     Sepang &egrave; un posto speciale nella carriera di Valentino Rossi. Sulla pista malese, infatti, il Dottore ha centrato i titoli del 2003 (Honda) e 2009 (Yamaha), vinto la 46^ gara in Yamaha nel 2010 davanti a Dovizioso nell&rsquo;ultima stagione in &ldquo;blu&rdquo; prima del passaggio in Ducati. Ma Sepang &egrave; stata la location della famosa gag della Rapida, l&rsquo;impresa di pulizie che ha pulito la sua piazzola a Losail la gara precedente.  &nbsp;  Sepang croce e delizia di Simoncelli     Quando pensi a Sepang la mente ritorna sempre a quel romagnolo alto con i riccioli che risponde al nome di Marco Simoncelli. Sepang &egrave; il luogo del suo doppio destino: nel 2008 gli regala il titolo della 250 con il terzo posto in gara, nel 2011 gli toglie la vita con il tragico incidente del secondo giro mentre era in lotta con Bautista.  La prima di Dovi in Ducati, Bagnaia campione Moto2     Sepang negli anni successivi ha comunque continuato a sorridere agli italiani. Nel 2016 Andrea Dovizioso coglie il suo primo successo in Ducati davanti a Valentino Rossi mentre nel 2018 Pecco Bagnaia, terzo al traguardo alle spalle di Marini ed Oliveira, vince il suo primo e per ora unico titolo nel Motomondiale bissando per l&rsquo;Italia il titolo di Morbidelli dell&rsquo;anno precedente. 

Dopo due anni di assenza causa pandemia, ritorna il secondo Gran Premio pi&ugrave; giovane tra quelli iconici del calendario del Motomondiale

MotoGP Malesia: storia, curiosit&agrave; ma anche gioie e dolori

        Poteva mai il Motomondiale stare lontano da quel magnifico tracciato che &egrave; Phillip Island? Certo che no, e dopo due anni senza gara causa pandemia, nel fine settimana ritorna il Gran Premio &ldquo;downunder&rdquo; pi&ugrave; giovane tra quelli storici del calendario del Motomondiale. Il Gran Premio d&rsquo;Australia di quest&rsquo;anno &egrave; pi&ugrave; che mai decisivo per la lotta al titolo mondiale, con quattro piloti racchiusi in 40 punti e l&rsquo;inerzia tutta a favore degli inseguitori Bagnaia, Aleix Espargar&ograve;, Enea Bastianini e Jack Miller rispetto all&rsquo;inseguito Fabio Quartararo che sta vivendo un momento molto delicato della sua stagione. Storia  Nonostante il Gran Premio d&rsquo;Australia risalga addirittura al 1914, nei primi anni di vita si sono svolte solamente competizioni a livello nazionale. Con l&rsquo;avvento del primo Motomondiale nel 1949, tracce di Australia sono da ritrovarsi solamente tra i piloti vincitori di titoli mondiali. Tom Phillis (1961 in 125), Kel Carruthers (1969 in 250), Keith Campbell (1957 in 350) e Wayne Gardner (1987 in 500) sono gli unici aussie campioni del mondo prima dell&rsquo;ingresso del Gran Premio d&rsquo;Australia nel Motomondiale.&nbsp; Il Gran Premio d&rsquo;Australia arriva nel calendario del Motomondiale soltanto nel 1989. E&rsquo; il meraviglioso tracciato di Phillip Island ad ospitare la prima storica edizione. A vincere in quella circostanza furono Alex Crivill&egrave; in 125, Sito Pons in 250 ed il padrone di casa Wayne Gardner in 500.  Essendo il Gran Premio pi&ugrave; giovane tra quelli storici del calendario, si sono disputate dal 1989 ad oggi appena 31 edizioni della gara, 25 delle quali sul tracciato di Phillip Island e le altre 6 ad Eastern Creek. &nbsp; Solo 12 vittorie aussie  Delle 31 edizioni del Gran Premio d&rsquo;Australia, solamente 12 sono a firma dei piloti di casa. Casey Stoner &egrave; il padrone di casa per eccellenza con i suoi 6 successi consecutivi dal 2007 al 2012, segue Mick Doohan con 3 successi (92-95-98), Gardner a quota 2 (1989-1990), McCoy e Miller con un successo a testa. E&rsquo; un dato abbastanza singolare che solo 5 piloti siano riusciti a vincere la gara di casa, rispetto a quelli che sono usciti dall&rsquo;Australia.&nbsp; Diversi periodi dell&rsquo;anno  In questi ultimi anni abbiamo visto il Gran Premio d&rsquo;Australia posizionato sempre sul finire della stagione nel &ldquo;Trittico Terribile&rdquo; asiatico con Giappone e Malesia, ma non tutti sanno che la gara si &egrave; svolta anche in diversi periodi dell&rsquo;anno: nel 1989 ad aprile come seconda gara della stagione, nel 1990 a settembre a chiusura del campionato, di nuovo ad aprile nel 91 e 92, prova di apertura nel 1993-94-95, ultima ancora nel 96-97, penultima nel 98, sempre pi&ugrave; o meno ad inizio e fine stagione. &nbsp; Patatrac in casa Repsol Honda, vittoria di Capirossi  La gara del 1996 della 500 ad Eastern Creek verr&agrave; ricordata sia per la prima vittoria in 500 di Loris Capirossi ma soprattutto per lo scontro fratricida in casa Repsol Honda con Crivill&egrave; che tampona Doohan nel tentativo di passarlo, &ldquo;vendicandosi&rdquo; di quanto successo qualche mese prima a Jerez con la caduta all&rsquo;ultimo giro forse viziata da una toccatina dello stesso Doohan.&nbsp; Rossi ultimo Re della 500 e le imprese targate 2003-2004  Il 2001 rappresenta il canto del cigno della 500 prima di lasciare il posto nel 2002 alla MotoGP (fino a tre quarti di campionato un mix di MotoGP 4T e 500 2T), la lotta &egrave; serratissima tra Rossi e Biaggi che non si risparmiano gomitate, diti medi e scazzottate. I due sono reduci da una P10 (Biaggi) e P11 (Rossi) a Valencia, le ultime gare sono determinanti per il titolo. Rossi vince a Motegi mentre Biaggi si ritira, Phillip Island diventa la gara del titolo per Valentino. Titolo che arriva alla fine di un bel duello con Biaggi per tutta la gara.  Nel 2003 Valentino compie una impresa memorabile. Mentre &egrave; in testa, gli viene comminata una penalit&agrave; di 10&rdquo; per aver passato Marco Melandri in regime di bandiere gialle. Valentino &egrave; primo in pista ma secondo nella lista dei tempi alle spalle di Capirossi, testa bassa si mette a tirare come un matto girando ad un ritmo insostenibile per tutti e rifila 15&rdquo; a Capirossi annullando la penalit&agrave; e vincendo la gara.  Nel 2004 poi a Phillip Island si porta a casa il titolo al primo tentativo con la Yamaha alla fine di una gara tirata con Gibernau e risolta solamente all&rsquo;ultimo giro, cortesia di un errore dello spagnolo nel chiudere una curva.  &nbsp; Il primo cambio moto per usura gomme e la confusione di Honda  Il 2013 &egrave; un anno nel quale succede veramente di tutto tra Rossi che ritorna in Yamaha, gli infortuni di Lorenzo e Pedrosa ed il contatto tra Marquez e Pedrosa ad Aragon. Nel pazzo 2013 succede che a Phillip Island si debba ricorrere al cambio moto perch&eacute; Bridgestone non garantisce la durata per tutta la gara della gomma posteriore. La gara viene accorciata a 19 giri contro i 27 previsti ed al termine del nono giro tutti devono rientrare ai box per cambiare la moto. Questa cosa manda in confusione il box Honda dal lato di Marc Marquez. Alla &ldquo;Formica Atomica&rdquo; segnalano il rientro ai box al termine del nono giro ma lui rientra alla fine del decimo, un giro oltre il limite consentito. Risultato? Squalificato dall&rsquo;ordine di arrivo della gara.  Phillip Island terra di mondiali  Il magico tracciato di Phillip Island &egrave; stato la cornice perfetta per l&rsquo;assegnazione di alcuni titoli mondiali nel corso degli anni tra 250, 500 e MotoGP. Nel 2000 &egrave; Olivier Jacque a prendersi il titolo della quarto di litro in un duello interno al team Tech3 Yamaha con il compagno di squadra Nakano. Vittoria della gara in volata all&rsquo;ultimo giro e titolo al francese. Nel 2001 Valentino Rossi vince l&rsquo;ultimo titolo della storia della 500 dopo un duello con Biaggi negli ultimi giri della gara Nel 2004 ancora Valentino Rossi si prende il titolo al primo colpo in Yamaha dopo un duello per tutta la gara con Sete Gibernau. Il 2011 &egrave; l&rsquo;anno di Casey Stoner passato in Honda. L&rsquo;australiano domina la stagione e vince il secondo titolo davanti al pubblico di casa. SBK: BAUTISTA E LA V4R NELL&rsquo;OCCHIO DEL CICLONE, TROPPO SUPERIORI?       

Dopo due anni di assenza causa pandemia, ritorna il Gran Premio pi&ugrave; giovane tra quelli storici del calendario del Motomondiale

MotoGP Australia: storia e curiosità di una gara iconica

        Il Gran Premio del Giappone, oltre ad aver avuto tre vincitori diversi, ha portato con s&eacute; anche delle curiosit&agrave; statistiche, perci&ograve; che riguarda sia la Middle Class che la Moto3, sempre in salsa nipponica. Ai ed Ayumu per&ograve; hanno anche degli illustri predecessori, che si contano sulle dita di una mano, che hanno trionfato prima di loro in 125 e 250 Da Hiroshi&hellip;  &nbsp; L&rsquo;ultimo pilota giapponese a vincere il Gran Premio del Giappone per la classe 250/Moto2 &egrave; stato Hiroshi Aoyama, ultimo campione della 250 prima che cedesse il posto alla Moto2 nel 2010, nel 2006 con la KTM davanti ad Alex De Angelis e Jorge Lorenzo bissando il successo dell&rsquo;anno precedente con la Honda del team Telefonica Movistar (era compagno di box di Dani Pedrosa) a precedere il compagno di box Pedrosa e Casey Stoner. Chiuder&agrave; sia il 2005 che il 2006 in quarta posizione. &hellip;ad Ai   Dopo anni di bocconi amari, il Giappone ha trovato il suo nuovo eroe della Middle Class in Ai Ogura, pilota del team Idemitsu Honda Asia promesso sposo alla MotoGP per il 2024 e gi&agrave; vincitore in Spagna ed Austria, che domenica ha riportato la bandiera del Sol Levante al primo gradino del podio dopo 16 anni da Aoyama. E cosa lega Aoyama ad Ogura? Hiroshi &egrave; nientemeno che il team manager di Ai&hellip; &nbsp; Ayumu Sasaki fa la storia  &nbsp; Un pezzo di storia lo scrive anche il pilota del Max Racing Team, gi&agrave; vincitore di due gare quest'anno oltre ad altri 4 podi prima di domenica. Il podio alle spalle di Guevara e Foggia rappresenta il primo podio assoluto di un pilota giapponese in Moto3, risultato sfiorato per ben due volte dal suo connazionale Tatsuki Suzuki, due volte quarto nel 2017 e 2019. &nbsp; Quali sono gli altri piloti nipponici ad aver vinto la gara di casa in 250/Moto2 e 125/Moto3? Osamu Myazaki  &nbsp; Prima di Ogura ed Aoyama l&rsquo;ultimo vincitore della gara di casa &egrave; stata la wild card Yamaha Osamu Myazaki a Suzuka nel 2002 con la Honda del team Endurancedavanti al connazionale Daisaku Sakai e a Randy De Puniet. Basti pensare che sono passati tre anni dalla vittoria di Myazaki alla doppietta di Aoyama 2005-2006 e ben 16 dalla vittoria di Aoyama a quella di Ogura, in mezzo una moria di pilotia giapponesi competitivi nella classe di mezzo del Motomondiale Daijiro Kato  &nbsp; Chi per&ograve; ha vinto pi&ugrave; di tutti la gara di casa &egrave; stato l&rsquo;indimenticato #74 con ben 4 successi a Suzuka nel 1997-98-00-01. Il primo successo arriva nel 1997 in un poker tutto giapponese con Ukawa secondo, Harada terzo e Tsujimura in quarta posizione. Nel 1998 ancora un poker nipponico a Suzuka: Kato-Nakano-Matsudo-Harada, nel 2000 il terzo successo di Daijiro con i connazionali Ukawa e Nakano ad accompagnarlo sul podio mentre nel 2001 la quarta ed ultima affermazione davanti ad Harada e Locatelli nell'anno che lo porter&agrave; all'unico Mondiale in carriera. Harada, Okada e Nakano  &nbsp; Un successo a testa tra Suzuka e Motegi per altri tre grandi piloti nipponici: Tetsuya nel 1993, anno della sua ascesa al trono della 250 davanti ad Okada e all'indimenticabile Romboni, Tadayuki nel 1994 con la Honda davanti a Capirossi ed Ukawa e Shin&rsquo;ya nel 1999, primo anno con la Yamaha Tech3 e prima volta assoluta a Motegi per il Motomondiale, davanti ad Ukawa e Capirossi.&nbsp; &nbsp; Per trovare invece un pilota nipponico vincente nella classe leggera bisogna tornare indietro ai tempi di Ueda, Azuma e Tokudome Masao Azuma  &nbsp; Per trovare l&rsquo;ultimo giapponese a trionfare in patria nella classe 125 bisogna tornare indietro al 2001 con Masao Azuma e la Honda davanti al connazionale Ui sulla Derbi. Azuma conta 2 vittorie in casa, la prima nel 1999 a Motegi davanti al connazinale Nakajo e ad Alzamora, nell'anno del titolo dello spagnolo. La seconda vittoria di Azuma &egrave; del 2001 a Suzuka con la Honda davanti al connazionale Ui sulla Derbi ed al nostro Simone Sanna con l'Aprilia. Noboru Ueda  &nbsp; Parimerito con Azuma per numero di vittorie in patria, &ldquo;Nobby&rdquo; ha trionfato nel 1991 da esordiente nel Motomondiale con la Honda davanti a Gresini e Capirossi firmando prima la pole e poi il giro veloce in gara e nel 1997 con un poker tutto nipponico: Ueda (Honda Pileri)-Sakata (Aprilia UGT3000)-Nakajo (Honda Jha Racing)-Azuma (Honda LB Racing) Ui, Sakata, Tokudome, Aoki, Tsujimura  &nbsp; Un trionfo a testa in casa anche per Ui (2000), Sakata (1998), Tokudome (1996), Aoki (1995) e Tsujimura (1994). Podio tutto giapponese per l'unica vittoria in casa di Ui nel 2000 davanti alle Honda di Ueda ed Azuma, podio tutto giapponese anche nel 1998 con la vittoria di Sakata a precedere Manako ed Azuma, poker invece nel 1996 con Tokudome-Aoki-Ueda-Manako, particolare la gara del 1995 vinta da Aoki con 6 giapponesi nelle prime sei posizioni: Aoki-Saito-Sakata-Nakajo-Ibaraki-Kato. Anche nel 1994 ci fu un podio All Japan con Tsujimura davanti a Sakata e Nakajo.       

Il pilota della Moto2 ha vinto la gara di casa 16 anni dopo il suo attuale team manager mentre Ayumu Sasaki &egrave; salito per la prima volta sul podio nella classe Moto3

Ai Ogura ed Ayumu Sasaki: il Giappone può sognare di nuovo

La MotoGP sta per tornare in pista con il decimo appuntamento stagionale, al Sachsenring. Sul tortuoso layout tedesco il padrone indiscusso degli ultimi anni &egrave; stato Marc Marquez, che da quando &egrave; arrivato in top class (nel 2013) ha sempre vinto in Germania! Otto successi nella classe regina per un totale di undici se considerate anche le vittorie nelle classi minori per un pilota che, per la prima volta, quest&#39;anno dovr&agrave; cedere lo scettro in virt&ugrave; dell&#39;ennesima operazione al braccio che lo costringer&agrave; a tornare in pista nel 2023. I piloti pi&ugrave; vincenti al Sachsenring dopo lo spagnolo sono Valentino Rossi, Daniel Pedrosa e Max Biaggi.  Marc Marquez - 8 vittorie consecutive, dal 2013 al 2021   Il tecnico circuito tedesco ha sempre esaltato le abilit&agrave; e le caratteristiche di guida di Marc Marquez e della sua Honda. Lo dimostrano le otto vittorie consecutive ottenute dal 2013 al 2021, ovvero tutte le edizioni disputate da quando lo spagnolo &egrave; in top class. In tutti i suoi successi sulla pista tedesca Marquez ha sempre vinto in solitaria, a conferma di una prova di forza impressionante.  Valentino Rossi - 4 successi: 2002, 2005, 2006, 2009   Il &quot;dottore&quot; ha sempre ben figurato al Sachsenring, potendo vantare 4 vittorie in bacheca. La prima avvenne nel 2002 ai danni di Max Biaggi e Toru Ukawa; segu&igrave; poi il trionfo del 2005 su Sete Gibernau e Nicky Hayden in un podio racchiuso in meno di un secondo. Rossi replic&ograve; l&#39;anno successivo quando batt&egrave; Marco Melandri per soli 145 millesimi e infine nel 2009 quando beff&ograve; Jorge Lorenzo per 99 millesimi.   Daniel Pedrosa - 4 vittorie: 2007, 2010, 2011, 2012  La spagnolo &egrave; stato l&#39;ultimo dominatore del GP tedesco prima dell&#39;avvento di Marc Marquez. Dal 2010 al 2012 arrivarono infatti tre successi consecutivi, in tutte le occasioni ai danni di Jorge Lorenzo. La prima vittoria risale al 2007, quando al secondo anno in MotoGP Pedrosa ebbe la meglio su Loris Capirossi e Nicky Hayden.&nbsp;  Max Biaggi - 2 vittorie: 2001, 2004   Al quarto posto dei piloti pi&ugrave; vincenti del Sachsenring troviamo un altro italiano, Max Biaggi. Il pilota romano vanta due successi sulla pista tedesca, ottenuti nel 2001 su Carlos Checa e Shinya Nakano e nel 2004 su Alex Barros e Nicky Hayden.  GP Germania, che Sachsenring sar&agrave; senza Marc Marquez? 

Da quando &egrave; approdato in MotoGP lo spagnolo ha sempre vinto in Germania. Al secondo posto Valentino Rossi e Daniel Pedrosa con quattro trionfi

MotoGP, Marc Marquez re indiscusso del Sachsenring

La tappa di avvicinamento al Gran Premio d&rsquo;Italia del Motomondiale porta anche a parlare con addetti ai lavori diversi dai piloti. In questo caso a raccontarsi in vista della gara del prossimo fine settimana &egrave; nientemeno che &ldquo;The Voice&rdquo;, lo speaker dell&rsquo;autodromo toscano dal 1974, ovvero Giovanni Di Pillo.  Tra aneddoti e un pronostico per quanto riguarda la sola MotoGP, il commentatore storico della Superbike nonch&eacute; speaker del Mugello ci ha raccontato il suo Mugello.  Giovanni raccontaci il tuo Mugello&nbsp;  &ldquo;Il mio Mugello alla fine &egrave; una postazione privilegiata. Sono in cima alla torre della Direzione Gara, vedo tutto, ho sotto controllo qualsiasi angolo della pista, vivo in prima persona ogni istante di ogni Gran Premio, &egrave; una cosa bellissima.&rdquo;  La tua frase &ldquo;Mugello, Buongiorno&rdquo; da dove &egrave; nata?&nbsp;  &ldquo;E&rsquo; nata la sera tra gli amici, non piloti ma amici. Uno di loro mi ha detto: &ldquo;se domattina mi svegli alle 8 facendo i soliti urli, vengo su e ti taglio il microfono&rdquo;. Un altro mi dice &ldquo;noi della MotoGP corriamo alle 10 e tu ci rompi le scatole gi&agrave; dalle 7.40&rdquo;. Io di tutta risposta ho detto: &ldquo;eh ma lo devo aprire il microfono&rdquo;. Allora il giorno dopo ho aperto il microfono ed ho iniziato ad urlare: &ldquo;Mugellooo, Buongiornooo&rdquo; e dopo un secondo mi sono arrivati un sacco di messaggi di insulti e offese da tutti i piloti. E da quel momento ho deciso di farlo tutte le volte che apro il microfono la mattina all&rsquo;alba. Anche perch&eacute; serve a quei poveracci la domenica che dormono dopo una notte insonne.&rdquo;&nbsp;  Da quanti anni sei lo speaker del Mugello?&nbsp;  &ldquo;Credo dal 1974&rdquo;&nbsp;  Ci racconti qualche tuo aneddoto legato al Mugello o qualche gara in particolare?&nbsp;  &ldquo;Il Mugello &egrave; la vera ed unica Universit&agrave; dei Motori, &egrave; l&rsquo;unica pista al mondo che non ha mai variato un centimetro dei suoi 5245 metri. E&rsquo; un luogo magico, mistico, non l&rsquo;ha disegnato Tilke, non &egrave; finto. Ci sono sempre gare incredibili, alcune veramente pazzesche come nel 2000 in 500 con Rossi e Biaggi che si sono schiantati e ha vinto Capirossi, oppure Simoncelli contro Pasini nel 2009 in 250 facendo qualcosa come 26 sorpassi negli ultimi due giri con la gente che piangeva dalla bellezza della gara. Posso dirti centinaia di episodi come questo perch&eacute; il Mugello ha generato sempre arrivi al cardiopalma all&rsquo;ultimo metro.&rdquo;  Qual &egrave; stata la gara che hai commentato con pi&ugrave; piacere?&nbsp;  &ldquo;Sicuramente il duello Simoncelli-Pasini, o Pasini che passa gli avversari in un punto impossibile come la Casanova-Savelli, ne ha passati cinque andando a vincere e facendo una impresa che rimarr&agrave; nella storia. Le nove vittorie di Valentino Rossi che ogni volta faceva un numero diverso per festeggiare con migliaia e migliaia di persone sotto il podio a salutare questo Imperatore delle due ruote. Ce ne sono state anche in Superbike come l&rsquo;ultimo giro tra Polen, Falappa e Roche a colpi di carena, se ne sono date di santa ragione. Non c&rsquo;&egrave; un episodio in particolare. Anche gli incidenti: Marquez che vola a 330 km/h, Nakano a 330 km/h, si sono rialzati senza farsi niente, Pirro a 348 km/h, andato in ospedale voleva correre gi&agrave; la domenica.&rdquo;  Conosci ovviamente il Mugello come le tue tasche, dove si fa il tempo?&nbsp;  &ldquo;Il punto &egrave; uno solo, Casanova Savelli-Arrabbiata 1&amp;2, chi ha pelo e fegato di tenere tutto aperto guadagna un secondo.&rdquo;&nbsp;  Com&rsquo;&egrave; nata la cosa del &ldquo;al Mugello non si dorme&rdquo;?&nbsp;  &ldquo;Decisero di vendere un biglietto speciale valido per i tre giorni per permettere a chi avesse voluto approfittare di questa cornice naturale di rimanere dentro. E&rsquo; uno dei pochissimi circuiti che non chiudono la notte cacciando tutti e riaprendo la mattina dopo. Con questa scusa sono venuti da tutto il mondo con i camper o con le tende ed hanno iniziato a fare questo villaggio da 80-100000 persone che la notte fanno una festa infinita e poi la mattina dopo sono &ldquo;morti&rdquo; sui prati e poi mi tocca gridare &ldquo;Mugello, Buongiornoo&rdquo; se no non si svegliano per il warm up.&rdquo;&nbsp;  Pronostici per quest&rsquo;anno, qualifiche e gara?&nbsp;  &ldquo;Bagnaia o Bastianini e Quartararo. Dico solo la MotoGP perch&eacute; non ho idea delle altre due categorie, mi auguro italiani sul podio.&rdquo; 

Lo speaker del tracciato toscano svela alcuni aneddoti riguardanti l&rsquo;Autodromo, il perch&eacute; della sua catchphrase &ldquo;Mugello, Buongiorno&rdquo; e prova a dare il suo pronostico in vista della gara di settimana prossima

Giovanni Di Pillo racconta il Mugello: &ldquo;Vera e unica Universit&agrave; dei Motori&rdquo;

        Per raccontare la storia di Kawasaki nel Motomondiale ed in MotoGP in particolare, &egrave; doveroso fare un passo indietro cercando di riassumere la presenza delle verdone di Akashi tra 125, 250 e 350 dal 1966 al 1982. La storia di Kawasaki  Kawasaki debutta nel Motomondiale nel 1966 in 125 con il pilota di casa Toshiro Fuji, perito poi in un incidente nel Tourist Trophy dello stesso anno. Il primo titolo mondiale arriva nel 1969 sempre in 125 ad opera dell&rsquo;inglese Dave Simmonds con 8 successi in stagione.&nbsp; Il salto in 500 di Kawasaki con la H1R non fu dei pi&ugrave; brillanti negli anni tra il 70 ed il 75. Kawasaki decise quindi di interrompere la partecipazione al Mondiale per tornare dopo qualche anno con la KR250-350, la moto che permise a Kork Ballington e Toni Mang di dominare la scena dal 78 all&rsquo;82. Ballington vinse 4 titoli (2 in 250 e 2 in 350) nel biennio 78-79, il tedesco 2 in 250 nel biennio 80-81 e 2 in 350 nel biennio 81-82. Alla fine del 1982 Kawasaki decise di ritirarsi dalle competizioni, pur provandoci ancora in 500 con la KR500 ma con risultati deludenti.&nbsp; L&rsquo;arrivo della MotoGP  Nel 2002 Kawasaki torna ufficialmente alle gare con l&rsquo;introduzione della nuova classe regina del Motomondiale, la MotoGP. Inizialmente sono solo sporadiche apparizioni della ZX-RR in quella stagione per prepararsi al debutto ufficiale l&rsquo;anno seguente. Il 2003 &egrave; tutt&rsquo;altro che idilliaco per il binomio Kawasaki-Dunlop: solo 15 punti raccolti dai due funamboli McCoy e Pitt Il passaggio alle Bridgestone per il 2004 &egrave; il vero turning point per Kawasaki. Nakano, podio in Brasile, ed Hofmann raccolgono 134 punti portando Kawasaki al 7&deg; posto iridato tra i costruttori Nel 2005 il team alza l&rsquo;asticella: viene ingaggiato anche Olivier Jacque al fianco di Hofmann e Nakano. Il francese coglie il podio in Cina alle spalle di Rossi, miglior risultato stagionale. A fine stagione sono 150 i punti raccolti per la sesta posizione finale Il 2006 &egrave; l&rsquo;anno forse pi&ugrave; difficile per Kawasaki. Nonostante il secondo posto di Nakano ad Assen, i punti a fine stagione sono solo 129 per la settima posizione finale nel costruttori. L&rsquo;annata migliore per Kawasaki per&ograve; &egrave; quella del 2007, coincisa con il cambio di cilindrata da 990 ad 800. Le Bridgestone sono estremamente efficaci sulla ZX-RR ed il team a fine stagione raccoglie 176 punti per la settima posizione in campionato, punteggio massimo nella storia di Kawasaki in MotoGP. 2008, l&rsquo;ultimo anno  L&rsquo;ultimo anno prima di un altro ritiro dalle competizioni pu&ograve; essere tranquillamente equiparato al 2003. Un anno difficile, pochi risultati di rilievo (P5 di Hopkins in Portogallo, P5 di West a Brno come season high) e solo 112 punti a fine stagione per una magra nona posizione nel costruttori. A fine stagione Kawasaki annuncia il secondo ritiro dalle competizioni. Nei sei anni di MotoGP, le verdone di Akashi hanno ottenuto appena 4 podi. Un bottino molto magro a dispetto degli investimenti fatti per il progetto MotoGP L&rsquo;arrivo di Hayate  &nbsp; Nel 2009 &egrave; il team Hayate Racing (oggi Forward) a prendersi carico delle ZX-RR ed affidarle a Marco Melandri, unico pilota della squadra. Nonostante i pochi mezzi a disposizione, Melandri riesce ad essere competitivo e portare la ZX-RR evoluta al secondo posto in Francia sotto l&rsquo;acqua. Il ravennate chiuder&agrave; la stagione con 108 punti in settima posizione prima di accasarsi da Gresini per il 2010.       

Ripercorriamo la storia della verdona di Akashi nella Top Class del Motomondiale, con risultati tutt&rsquo;altro che eccellenti ad eccezione di qualche podio

MotoGP, la storia di Kawasaki: dall’esordio del 2003 alla Hayate nel 2009

        Classe 250, casa nostra. Nelle 61 edizioni della cilindrata di mezzo, il tricolore &egrave; stato padrone in 22 casi, a cui si aggiunge un titolo del sammarinese Manuel Poggiali. Nessuno, inglesi, tedeschi e in tempi recenti spagnoli, &egrave; riuscito ad avvicinare tale predominio, se &egrave; vero che la seconda scuola pi&ugrave; titolata - quella britannica - non raggiunge la doppia cifra di titoli. Un dominio che porta impressi i nomi di Bruno Ruffo, Dario Ambrosini, Enrico Lorenzetti, Carlo Ubbiali, Tarquinio Provini, Walter Villa, Mario Lega, nel passato pi&ugrave; lontano. E poi Luca Cadalora, Max Biaggi, Loris Capirossi, Valentino Rossi, Marco Melandri e Marco Simoncelli. &ldquo;Macio&rdquo; e il SIC, assieme a Poggiali, hanno consentito alla 250 di parlare italiano anche nel Terzo Millennio, negli ultimi anni della categoria a due tempi, prima del passaggio alla Moto2 del 2010. Il 2002 di Marco Melandri   &ldquo;La 250 era una moto bellissima e difficile da guidare &ndash; dice un nostalgico Marco Melandri, campione con l&rsquo;Aprilia nel 2002 &ndash; 100 cavalli per 100 kg erano tanta roba, era molto delicata e dovevi essere molto preciso&rdquo;. &ldquo;Era il giusto compromesso tra agilit&agrave; e potenza &ndash; spiega Manuel Poggiali, successore di Melandri sull&rsquo;Aprilia e al vertice della categoria &ndash; ai tempi il regolamento prevedeva la possibilit&agrave; di sviluppare liberamente. Rispetto alle tante limitazioni di adesso era tutto aperto&rdquo;. Non sempre, per&ograve;, nell&rsquo;ultimo decennio di storia della 250 la situazione per gli italiani era stata rosea. Dopo il titolo di Rossi nel 1999, il sesto consecutivo per l&rsquo;Italia in una serie iniziata da Biaggi e proseguita da Capirossi, sono arrivati due anni di stallo: nel 2000 a svettare fu il francese Olivier Jacque davanti a uno stuolo di giapponesi, cio&egrave; il compagno di team Shinya Nakano, il compianto Daijiro Kato e Toro Ukawa, con il rookie Melandri quinto. Nel 2001, invece, a vincere il titolo iridato fu lo straordinario Kato in sella alla Honda del Team Gresini, seguito dai due compagni di squadra in Aprilia, Tetsuya Harada e Melandri, con Roberto Locatelli quarto. In quello stesso anno, il giovane e rampante Melandri, alla seconda stagione nella quarto di litro, ottenne la prima vittoria di categoria nel GP Germania, conquistando anche quattro secondi posti e quattro terzi posti. Un bel modo per preparare l&rsquo;assalto al titolo nel 2002. Quando, ancora in sella all&rsquo;Aprilia del Team MS Racing, Melandri lasci&ograve; poco spazio ai rivali, andando a conquistare nove vittorie (sei consecutive) e tre secondi posti. Un totale di 298 punti, 57 pi&ugrave; di Fonsi Nieto, secondo. La gara decisiva della stagione fu quella di Phillip Island, la penultima in calendario, con lo scontro diretto tra Melandri e Nieto: tra i due, al traguardo, ci fu uno scarto di sette millesimi, sufficienti al pilota italiano per conquistare il titolo a soltanto 20 anni e due mesi. Meglio anche di Rossi, ma quel record sarebbe stato infranto due stagioni pi&ugrave; tardi dal diciannovenne Dani Pedrosa. &ldquo;Fu il coronamento di un sogno &ndash; ricorda Melandri &ndash; mettere al sicuro un titolo vincendo la gara e lottando fino all&rsquo;ultimo giro con il proprio rivale... non poteva esserci finale migliore&rdquo;. Loris Reggiani e la 250: "Il 1992 fu un dominio tricolore" Il passaggio del testimone a Manuel Poggiali   L&rsquo;enfant prodige, soprannome che Melandri si merit&ograve; grazie al primo successo in un GP iridato a meno di 16 anni, pass&ograve; la moto e il testimone di campione del Mondo a Poggiali. Il quale non attese per conquistare il titolo della classe di mezzo, due anni dopo aver prevalso in 125. Melandri e Poggiali non si sono mai confrontati nella quarto di litro, ma entrambi concordano sul ruolo di questa categoria: un trampolino di lancio per la classe regina, seppure il sammarinese non comp&igrave; mai il salto: &ldquo;Era una categoria molto istruttiva &ndash; spiega Manuel &ndash; c&rsquo;erano mille soluzioni ed era possibile lavorare in modo maniacale per poter rendere tutto veramente estremo&rdquo;. Poggiali, ripensando al titolo ottenuto nel 2003, ricorda il supporto del grande team che ebbe alle spalle, ovvero l&rsquo;MS Aprilia: &ldquo;Quello che ha fatto la differenza &egrave; stato avere un&rsquo;azienda che credeva in me. Questo mi ha dato una spinta in pi&ugrave;, sono aspetti emotivi che fanno un&rsquo;enorme differenza&rdquo;. Dopo un inverno di test che lo vide adattarsi benissimo alla nuova moto e alla nuova cilindrata, Poggiali piazz&ograve; subito una vittoria nella prima gara in Giappone, anche se a Suzuka non erano mancati gli inconvenienti: nelle qualifiche, che furono bagnate, sbagli&ograve; gomme e riusc&igrave; a piazzarsi soltanto 23&deg; in griglia. Domenica mattina la gara fu per&ograve; asciutta e pur scattando dalle retrovie, Manuel riusc&igrave; a salire sul gradino pi&ugrave; alto del podio. Gli avversari erano avvertiti. Quell&rsquo;anno Poggiali ottenne quattro successi, tre secondi e altrettanti terzi posti: il suo rivale principale fu Roberto Rolfo in sella alla Honda (unico pilota sulla moto di Tokyo a chiudere tra i primi sette classificati, in mezzo al contingente Aprilia). Il torinese, grazie alla costanza, riusc&igrave; a tenere aperta la corsa al titolo fino al GP conclusivo Rolfo, in 250 dal 1998, nel 2002 era riuscito a chiudere con il terzo posto in classifica generale mentre nel 2003 sfid&ograve; Poggiali ottenendo due vittorie, tre secondi posti e un terzo posto. Il sammarinese chiuse la partita a Valencia, l&rsquo;ultimo GP. A dividerli furono 14 punti (249 per Manuel e 235 per Roberto). Come Harada nel 1993, anche Poggiali conquist&ograve; il Mondiale 250 al primo tentativo. Un risultato poi eguagliato da Pedrosa nel 2004. L&rsquo;invasione spagnola, prima di Marco Simoncelli   Un titolo, quello del catalano, che fu l&rsquo;apertura di una nuova era, con cui la 250 anticip&ograve; quanto si sarebbe visto nel Motomondiale: l&rsquo;invasione spagnola. Tra 2004 e 2007, il Paese iberico vinse sempre la 250 con i due rivali storici Pedrosa e Jorge Lorenzo a dividersi equamente la posta. Il maiorchino si ritrov&ograve; a duellare con Andrea Dovizioso, uno debig che non riuscirono a vincere il titolo: come lui, per esempio, Casey Stoner vice campione nel 2005, davanti a Dovi. Il forlivese ci riprov&ograve; nei due anni successivi, ma dovette arrendersi all&rsquo;egemonia di Lorenzo e dell&rsquo;Aprilia. In entrambi i casi, Andrea chiuse secondo davanti al sammarinese Alex De Angelis. Dove non riusc&igrave; Dovizioso, a compiere l&rsquo;impresa fu l&rsquo;allora alter ego &ndash; suo rivale sin dalle Minimoto e caratterialmente agli antipodi &ndash; Marco Simoncelli. Il ventunenne di Coriano, in sella alla Gilera RSA 250 non ufficiale cominci&ograve; la sua stagione d&rsquo;oro, il 2008, con due &ldquo;zero&rdquo; causati da due cadute. Poi, per&ograve;, le porte verso il gradino pi&ugrave; alto del podio si spalancarono al Mugello, dove il rivale Hector Barbera fin&igrave; a terra in modo spaventoso sul rettilineo, mentre era in scia al SIC. Marco seppe ripetersi a Barcellona, al Sachsenring e a Phillip Island, anche perch&eacute; nel frattempo l&rsquo;Aprilia, proprietaria del marchio Gilera, aveva deciso di fornire al romagnolo la versione factory della RSA. E 51 anni dopo Libero Liberati, Simoncelli fu il pilota italiano che riport&ograve; la Gilera all&rsquo;iride (nel mezzo ci riusc&igrave; in 125 Poggiali, sammarinese). Il SIC si fece spazio andando a vincere il titolo su Alvaro Bautista e Mika Kallio con una gara d&rsquo;anticipo, in Malesia, dove tre anni dopo sarebbe scomparso. Indimenticabile resta l&rsquo;immagine del giro d&rsquo;onore senza casco, con la maglietta bianca celebrativa e il gesto delle braccia aperte. "Come un angelo" disse Paolo Simoncelli. Quell&rsquo;immagine simbolica rappresenta idealmente l&rsquo;ultimo capitolo della storia d&rsquo;amore tra l&rsquo;Italia e la 250. Il SIC l&rsquo;anno successivo non riusc&igrave; a ripetersi, pur essendo il pilota pi&ugrave; veloce della categoria, e il titolo and&ograve; a Hiroshi Aoyama. Ma a Phillip Island, Marco firm&ograve; non soltanto la sua ultima vittoria, ma anche l&rsquo;ultimo successo italiano nella categoria. &Egrave; stata l&rsquo;ultima medaglia per un Paese che si &egrave; dimostrato padrone della categoria, come e pi&ugrave; degli Stati Uniti nell&rsquo;era delle 500 due tempi. "I numeri parlano chiaro, non c&rsquo;&egrave; altro da aggiungere" sentenzia Melandri. &ldquo;Abbiamo avuto degli anni pazzeschi &ndash; conclude Poggiali, 'straniero' di passaporto ma non di lingua e soprattutto di estrazione sportiva &ndash; in 250 la nostra scuola ha fatto veramente la differenza creando tanti talenti competitivi e vincenti in ambito mondiale. Bisogna essere fieri del lavoro che &egrave; stato compiuto&rdquo;. Marcellino Lucchi, il super collaudatore della 250       

Dopo il dominio degli anni Novanta, la scuola italiana non si &egrave; fermata, trionfando in 250 con Melandri, il sanmarinese Poggiali e l'indimenticato SIC

Melandri-Poggiali-Simoncelli, trionfatori nella 250 degli anni Duemila

        Eugenio Lizama, chi era costui? A conti fatti, si tratta di una figura fondamentale per la stagione al vertice della MotoGP di Andrea Dovizioso. &ldquo;La rabbia &egrave; generalmente un sentimento negativo, ma se ben canalizzata pu&ograve; trasformarsi in una forza positiva&rdquo;. Lo disse Lizama, neuropsicologo protagonista della metamorfosi del ducatista, capace di vivere un cambio di mentalit&agrave; proprio in quel 2017 in cui la Casa di Borgo Panigale decise di andare all in. Rialzatosi dopo la pessima parentesi dell&rsquo;era-Rossi, il Reparto Corse cap&igrave; di poter dare l&rsquo;assalto al titolo. Gigi Dall&rsquo;Igna aveva avuto abbastanza tempo per progettare la propria moto, e secondo la visione dell&rsquo;ingegnere veneto, alla Ducati mancava soltanto un ingrediente per vincere: il pilota giusto. E quel pilota venne identificato in Jorge Lorenzo. Duelli da leggenda: quando Freddie Spencer pieg&ograve; Kenny Roberts L'anno dell'arrivo di Lorenzo in Ducati  Dall&rsquo;Igna convinse il cinque volte campione del Mondo a sbarcare a Borgo Panigale, in cambio dello stipendio pi&ugrave; alto (ai tempi) nella storia della MotoGP. Il 2017 sarebbe stato l&rsquo;anno dell&rsquo;ambientamento alla non semplice Desmosedici, per poi lottare per il titolo nell&rsquo;annata successiva. Lorenzo si ritrov&ograve; nel box Dovizioso. Diciamo &ldquo;ritrov&ograve;&rdquo; perch&eacute; in un primo momento il suo compagno di team avrebbe dovuto essere Andrea Iannone, il primo pilota a far vincere un GP alla Ducati dopo quasi sei anni di digiuno. Ma al momento di compiere la scelta su quale dei due Andrea confermare, Dall&rsquo;Igna opt&ograve; per mantenere Dovizioso. Una decisione figlia anche del mancato accordo economico con Iannone, che port&ograve; l&rsquo;abruzzese alla Suzuki. In questo modo, Dovi torn&ograve; d&rsquo;attualit&agrave; ma per restare in Ducati dovette accettare condizioni tutt&rsquo;altro che favorevoli. In quel momento, per&ograve;, non aveva alternative tra i top team. Dovizioso e Lorenzo si conoscevano bene, molto bene. Avevano trascorso l&rsquo;intera carriera a battagliare, salendo di categoria, prima in 250 e poi in MotoGP, in contemporanea. E spesso e volentieri, le battaglie avevano visto Jorge prevalere. Sulla carta, sarebbe stata la gerarchia anche nel team ufficiale Ducati, la prima volta con i due nella stessa squadra. Eppure quel Mondiale sembr&ograve; prendere subito la strada del successore di Lorenzo in Yamaha, Maverick Vi&ntilde;ales, vincitore di tre delle prime cinque gare. L&rsquo;anti-Marquez doveva essere il giovane catalano.  Per questo, la vittoria di Dovizioso al Mugello, in una giornata storica per la Ducati e il motociclismo italiano &ndash; con tre successi azzurri nelle tre classi &ndash; venne salutata con favore da Marc Marquez: in fondo, Andrea aveva sventato la vittoria di Maverick. Dichiarazioni simili si sentirono anche una settimana pi&ugrave; tardi, quando al Montmel&oacute; il ducatista rivinse davanti a Marquez, mentre Vi&ntilde;ales non and&ograve; oltre la decima posizione. Soltanto due mesi pi&ugrave; tardi, dopo aver perso un duello spettacolare e deciso all&rsquo;ultima curva del Red Bull Ring, Marquez intu&igrave; che il pericolo arrivava non dal conterraneo Maverick, ma dal binomio italiano. E da quel giorno, il campione in carica inizi&ograve; a marcare stretto Dovizioso. Ma a lottare per il titolo fu Andrea  Nel frattempo, la super-scommessa di Dall&rsquo;Igna, Lorenzo, pativa pi&ugrave; del previsto l&rsquo;adattamento alla Ducati. La prima met&agrave; della stagione fu cos&igrave; deludente da generare dubbi a Borgo Panigale. Non tanto nella mente di Dall&rsquo;Igna, mosso da una fiducia incrollabile nei confronti di Jorge e del suo potenziale, ma nei vertici della Casa di Borgo Panigale. Perch&eacute; non era Lorenzo, il pilota con uno stipendio-base dieci volte (!) superiore a quello del compagno, a lottare per il titolo. Anzi, non fosse stato per Dovi, il flop ducatista sarebbe stato drammatico. Dopo la vittoria in Austria, Dovizioso seppe ripetersi a Silverstone, favorito dalla rottura del motore di Marquez. Andrea era &ldquo;caldissimo&rdquo;, in quella fase, e la Desmosedici era la moto pi&ugrave; veloce in pista. Marquez per&ograve; riprese quota vincendo a Misano e Arag&oacute;n, e si arriv&ograve; in Giappone, all&rsquo;inizio del trittico, con Marc a +16 su Dovi. Un vantaggio giudicato insufficiente dallo spagnolo, considerando la fiducia ritrovata dal rivale. E i timori di Marquez vennero confermati dal finale di Motegi dove, come in Austria, lo spagnolo sub&igrave; un&rsquo;altra sconfitta all&rsquo;ultima curva, questa volta sotto il diluvio.  Si tratt&ograve; di uno dei migliori duelli sul bagnato nella storia del Motomondiale, con un giro finale da consegnare ai libri di storia. Perch&eacute; mai si erano visti tanti sorpassi nelle ultime curve, su un tracciato dove gi&agrave; rimanere in piedi era un&rsquo;impresa. Marquez attacc&ograve; Dovi all&rsquo;ultima variante, da cui per&ograve; Andrea usc&igrave; meglio, facendo assaporare allo spagnolo l&rsquo;amarezza di un altro duello perso in volata. Un&rsquo;amarezza a cui Marc non era abituato. La sconfitta, oltretutto, arriv&ograve; sul circuito della Honda, davanti allo stato maggiore dell&rsquo;HRC. E con il -11 in classifica a due gare dalla fine, la Ducati e Dovizioso erano in corsa pi&ugrave; che mai per il titolo. L&rsquo;anatroccolo era diventato cigno. La doccia fredda di Phillip Island e la caduta di Valencia  La gioia per la prodezza di Motegi dur&ograve; poco, perch&eacute; arriv&ograve; subito la doccia fredda di Phillip Island, il circuito tab&ugrave; di Dovizioso, che chiuse tredicesimo, nettamente il peggior piazzamento di quel campionato, che arriv&ograve; nel momento pi&ugrave; inappropriato. Dovi poteva fare meglio? Oppure si arrese al &ldquo;Qui la Ducati non pu&ograve; fare meglio di cos&igrave;&rdquo;? La risposta, forse, &egrave; s&igrave;, a entrambe le domande. Quel risultato sgonfi&ograve; la Ducati e le sue possibilit&agrave;. A poco serv&igrave; la sesta vittoria stagionale di Andrea, ottenuta pochi giorni dopo a Sepang, davanti a Lorenzo. Certo, alla vigilia della stagione, il forlivese e il team avrebbero firmato per un cammino del genere, e avrebbero firmato per vincere due delle tre gare del trittico. Ma il fiasco del GP Australia lasci&ograve; il segno. Specialmente nella mente di Dall&rsquo;Igna, che mai consider&ograve; quel risultato come il &ldquo;migliore possibile&rdquo;.  Dovizioso arriv&ograve; alla sfida finale di Valencia con 21 punti da recuperare a Marquez. Una missione impossibile: l&rsquo;unico istante in cui apparve possibile fu quando Marc, in testa alla corsa con Dovi quinto, rischi&ograve; di cadere alla Curva 1, ma mostr&ograve; forse il suo pi&ugrave; grande salvataggio, considerando anche la velocit&agrave;. Pochi secondi dopo e Dovi fin&igrave; fuori pista, dando l&rsquo;addio definitivo ai sogni di gloria. La sua fu comunque un&rsquo;annata da applausi: sei vittorie, mentre Lorenzo non and&ograve; oltre tre podi. Per Dovi fu l&rsquo;anno del riscatto, dopo essere stato trattato da seconda guida. E fu anche l&rsquo;anno dei ricchi bonus da aggiungere allo stipendio-base dopo ogni vittoria. I bonus da soli superarono lo stipendio-base draconiano che gli era stato sottoposto dopo il rifiuto di Iannone. Di solito, per evitare di sforare il budget, quei bonus sono garantiti e quindi sono gi&agrave; certi, cosa che la Ducati non fece quell&rsquo;anno. Del resto, chi poteva immaginare che Dovizioso avrebbe vinto sei GP? Per la risposta, tornate all&rsquo;inizio: &ldquo;La rabbia &egrave; generalmente un sentimento negativo, ma se ben canalizzata pu&ograve; trasformarsi in una forza positiva&rdquo;. Duelli da leggenda: Jacque e Nakano raccontati da Poncharal       

Pungolato dalla presenza di Lorenzo, ingaggiato con uno stipendio-record dalla Ducati, Dovizioso visse una stagione al vertice della classe regina. Ma nemmeno la migliore versione del romagnolo fu sufficiente contro Marquez, campione a Valencia grazie al pi&ugrave; celebre dei suoi salvataggi

Duelli da leggenda: Andrea Dovizioso e la sfida a Marc Marquez del 2017

        Inquadrato l&rsquo;obiettivo, Valentino Rossi esib&igrave; il sorriso e si fece avanti. Nell&rsquo;altra direzione, di corsa, stava arrivando una ragazza. Il pesarese si ferm&ograve; e la invit&ograve; all&rsquo;abbraccio. Ma quando la giovane si allung&ograve;, lui la schiv&ograve; per poi precipitarsi dallo scooter Aprilia SR. Era la primavera del 1998 e la trama di quello spot avrebbe dovuto aprirci gli occhi: davanti a tutto, anzi a tutte, Valentino avrebbe sempre messo le due ruote. La pubblicit&agrave; era in linea con lo scanzonato Rossi della 250: casco e tuta con i loghi di Sole e Luna, orecchino al lobo sinistro e impiego su carene e vestiario di una serie di figure fumettistiche esistenti soltanto nell&rsquo;immaginario della sua compagnia, dalla Trib&ugrave; dei Chihuahua a Valentinik, passando per RossiFumi. Un teenager capace di invenzioni a getto continuo, in pista e fuori. Uno spettacolo difficile da contenere, conteso dai pubblicitari, oltre che da Italia 1 e Radio Deejay che gli affidarono spazi settimanali. Che il ragazzo ci sapesse fare anche in moto si era visto gi&agrave; nel 1997, quando conquist&ograve; il titolo della 125 con 11 vittorie stagionali, record tutt&rsquo;ora imbattuto (anche includendo la Moto3). Duelli da leggenda: Harada e Capirossi, senza esclusione di colpi Dalla 125 alla 250   Il salto di categoria lo vide passare sotto le cure di Rossano Brazzi, con il dirottamento di Mauro Noccioli da Loris Capirossi mentre Giovanni Sandi rest&ograve; con Tetsuya Harada. Il figlio di Graziano mostr&ograve; le sue qualit&agrave; nei primi test sull&rsquo;asciutto, in novembre a Jerez, nonostante il passaggio da una moto di 71 kg e 47 cavalli a una da 96 kg e altrettanti CV: "Mi sono davvero divertito e ho gi&agrave; un buon feeling con l&rsquo;avantreno &ndash; disse a fine giornata &ndash; sto migliorando in frenata e mi sento pi&ugrave; a posto in percorrenza di curva". Se ne rese subito conto Marcellino Lucchi, ai tempi quarantunenne: "Brazzi mi aveva chiesto di aiutare un po&rsquo; il ragazzino, insegnandogli qualche traiettoria. Ora dovr&ograve; chiedergli se mi fa fare qualche giro dietro di lui". Quando poi, sempre a Jerez, a febbraio del 1998 il fresco diciannovenne abbass&ograve; di oltre un secondo il record del circuito per le 250 appartenente a Max Biaggi (1&rsquo;44&rdquo;249 a fronte di 1&rsquo;45&rdquo;270), il rookie Valentino sembr&ograve; gi&agrave; pronto per il bis iridato. Le difficolt&agrave; e l'ascesa   Ma poi all&rsquo;esordio in gara, a Suzuka, il motore della sua Aprilia lo abbandon&ograve;. Due settimane dopo in Malesia, era al comando quando all&rsquo;ultima curva lasci&ograve; uno spiraglio per Harada e nel tentativo di resistergli fu disarcionato dalla RS250. Il duplice zero risult&ograve; alla fine decisivo perch&eacute; Valentino chiuse la stagione con un filotto di quattro vittorie (oltre alla prima, ad Assen, che dedic&ograve; a tre amici scomparsi in un incidente d&rsquo;auto), arrivando a 23 punti da Capirossi, ma davanti al nipponico, vittima dell&rsquo;autoscontro di Buenos Aires. Per evitare altri strascichi, l&rsquo;Aprilia fece uscire due dei tre galli dal pollaio: Harada sal&igrave; in 500 mentre Capirossi &ndash; dopo la brusca separazione dall&rsquo;Aprilia &ndash; si accas&ograve; con il Team Gresini che disponeva delle Honda NSR 250. Eppure l&rsquo;avvio del 1999 di Rossi fu inferiore alle attese: a Sepang, complice un problema elettrico, fin&igrave; quinto, e a Motegi, sotto l&rsquo;acqua, settimo. In classifica era quarto con 20 punti, la met&agrave; di Tohru Ukawa e 21 in meno di Capirossi e Shinya Nakano. Liberatorio, in tutti i sensi, fu il successo in solitaria (oltre quattro secondi su Ukawa e 14 su Capirossi) di Jerez. Il marchigiano festeggi&ograve; entrando nel giro d&rsquo;onore in uno dei WC chimici a bordo pista (&ldquo;Mi scappava, non potevo aspettare il podio&rdquo;), beccandosi un&rsquo;ammenda di duemila franchi svizzeri dalla direzione gara. Le Castellet sembrava l&rsquo;ideale per proseguire la striscia vincente e invece la fuoriuscita della catena dal pignone lo ferm&ograve; all&rsquo;ultimo giro quando conduceva senza patemi: &ldquo;Ho fatto una gara prudente. Volendo, avrei dato 7-8 decimi al giro a tutti. Ma non serviva. Capirossi era caduto, Ukawa lo controllavo bene. Poi &egrave; uscita la catena, ho provato a rimetterla su, come si fa con le bici. Ma era uscita davanti e l&igrave; le dita non entrano&rdquo;. Con 40 punti da recuperare al regolarista Ukawa, il Mondiale pareva in forte salita. Invece Rossi vinse al Mugello, approfittando del terribile impatto tra Lucchi e Capirossi (fermato con la bandiera nera), e concesse il bis al Montmel&oacute;, anche se non fu esente da spaventi. Sulle colline toscane f&igrave;n&igrave; a terra dopo la bandiera a scacchi per un contatto con il nostro Gigi Soldano, a seguito dell&rsquo;invasione di pista che imped&igrave; di effettuare la scenetta architettata con il fans club: avrebbe impersonato Arturo Toscanini intento a dirigere l&rsquo;orchestra nell&rsquo;inno di Mameli. Nel GP Catalunya invece se la dovette vedere con un&rsquo;ape entratagli nel casco nel corso della bagarre con Ukawa. La beffa di Assen, con Loris che gli tolse la vittoria per soltanto 180 millesimi, fu addolcita da Jeremy McWilliams che con l&rsquo;altra Aprilia scipp&ograve; il podio a Ukawa per tre millesimi. A Donington ci fu un altro uno-due italiano, a parti invertite con Rossi vincitore, e con il capoclassifica giapponese nuovamente 4&deg;. A met&agrave; stagione, Ukawa conduceva con 147 punti, Rossi 140, Nakano 112 e Capirossi 102. In Brasile l'incoronazione   Il girone di ritorno vide per&ograve; il pilota di Tavullia infilare al Sachsenring la sua prima doppietta pole-vittoria in 250 che, combinata alla caduta di Ukawa, gli garant&igrave; il sorpasso in classifica, con un vantaggio di 18 punti. Sul podio, per scimmiottare i berretti con i loghi dei tabaccai, in auge ai tempi, si present&ograve; con un cappello di paglia con la scritta &ldquo;Nazionali esportazioni senza filtro&rdquo;, una trovata che fece il paio con la maglietta dedicata alla &ldquo;Polleria Osvaldo&rdquo;, finto sponsor personale sfoggiato l&rsquo;anno prima dopo il successo a Imola. Rossi prosegu&igrave; la cavalcata del 1999 trionfando a Brno, al rientro dalla pausa, poi a Imola si accontent&ograve; del secondo posto ("Mi &egrave; venuto il 'braccino', mi sono messo a pensare al Mondiale") dietro Capirossi, mentre Ukawa autore di un anonimo 12&deg; posto sprofond&ograve; a -43. L&rsquo;ultimo moto di orgoglio del pilota del Sol Levante fu la vittoria di Valencia ma i 17 punti lasciati al Ricardo Tormo per colpa di un guasto tecnico ("Stavo per rientrare ai box perch&eacute; la moto andava a un cilindro ma all&rsquo;improvviso &egrave; ripartita") Valentino se li riprese con gli interessi, con i capolavori in Australia e Sud Africa, malgrado il 6&deg; e il 7&deg; posto in qualifica. Per l&rsquo;aritmetica, con 47 punti di vantaggio gli sarebbe bastato un tredicesimo posto in Brasile, ma il via a Rio de Janeiro fu disastroso: dalla seconda posizione in griglia si ritrov&ograve; 12&deg; alla fine del primo giro con 4&rdquo; di ritardo. A partire dalla terza tornata inizi&ograve; per&ograve; uno show: in tre giri mangi&ograve; ai battistrada 3&rdquo;5, dopo otto giri era in testa ma poi fu sopravanzato da Stefano Perugini e Ukawa. Il podio sarebbe stato pi&ugrave; che sufficiente ma Rossi non si accontent&ograve; e con gli ultimi tre giri da urlo and&ograve; a conquistare il nono centro stagionale e il secondo Mondiale. Poi caric&ograve; in moto l&rsquo;amico Franco, travestito da Angelo Custode: "In tutte le gare del 1999 era presente, tranne che in Francia" quando il diavolo lo ferm&ograve; sul pi&ugrave; bello. Nemmeno lui per&ograve; pot&eacute; nulla contro Valentinik. E pensare che si autodefiniva &ldquo;Supereroe non invincibile come Superman&rdquo;&hellip; Duelli da leggenda: il 2015, l'anno della discordia       

Due stagioni, con un secondo posto da rookie e poi con la marcia trionfale del 1999, furono sufficienti al pesarese per lasciare una traccia indelebile. Con i successi e le trovate che lo resero popolare tra il grande pubblico, la 250 fu il trampolino di lancio per l'epopea di Valentino

Le stagioni 1998-1999, quando il ciclone Rossi si è abbattuto sulla 250

        Quel Mondiale ha fatto la storia: se ne parla ancora oggi. Del resto il successo di Emilio Alzamora &egrave; stato unico nel suo genere: lo spagnolo si laure&ograve; campione del Mondo 125 senza vincere una gara. E contestualmente lo scopritore dei fratelli Marquez tolse a Marco Melandri (ai tempi 17 anni) la possibilit&agrave; di diventare il pi&ugrave; giovane campione del Mondo ogni epoca. Ma l&rsquo;epilogo di quel Mondiale ricco di imprevisti e colpi di scena viene ricordato anche per le polemiche. E un comportamento del quale Melandri oggi non va orgoglioso. Duelli da leggenda: il duello Bianchi-Gresini datato 1985 Inizio di stagione in salita per Marco  L&rsquo;inizio di una nuova stagione del Motomondiale &egrave; sempre un momento di grandi aspettative per i piloti: l&rsquo;edizione del &lsquo;99 part&igrave; con Melandri, che correva con il principale team della Honda, tra i favoriti della 125. L&rsquo;anno precedente, nella prima stagione intera nel Motomondiale, il romagnolo era riuscito a chiudere terzo con 202 punti, alle spalle di Kazuto Sakata e Tomomi Manako, con una bella progressione nella seconda met&agrave; dell&rsquo;annata. Nonostante la giovanissima et&agrave; (vinse la sua prima gara del Motomondiale ad Assen a 15 anni e 324 giorni) &ldquo;Macio&rdquo; aveva gi&agrave; capito che per inseguire il titolo serviva la costanza, e proprio quella virt&ugrave; fu il suo problema nel 1999. Per l&rsquo;enfant prodige la stagione fu immediatamente in salita, visto che nella storica prima del Motomondiale a Sepang, Melandri non era sulla griglia di partenza. Nelle prove, infatti, cadde e si frattur&ograve; il radio sinistro, e fu costretto a saltare anche la successiva gara di Motegi, rientrando a Jerez, dove chiuse ancora con uno zero: &ldquo;Un infortunio stupido &ndash; racconta oggi Melandri &ndash; quando rientrai alla terza gara, anticipando i tempi, avevo ancora un gran male al polso che mi ero rotto. A Jerez mi buttarono gi&ugrave; all&rsquo;ultimo giro mentre ero nono. E mi feci ancora male a met&agrave; stagione, fu tutto molto complicato&rdquo;.  Partito per vincere con Melandri, il Team Playlife si trov&ograve; ugualmente al vertice, grazie per&ograve; a Masao Azuma, che centr&ograve; cinque vittorie nei primi otto GP, compreso il tris iniziale. Alzamora rispose con sei podi in quei primi otto GP, senza mai scendere sotto il sesto posto. Melandri era in difficolt&agrave; ma con il progressivo recupero dall&rsquo;infortunio, anche i risultati si fecero pi&ugrave; costanti: sesto a Le Mans, secondo al Mugello e terzo a Barcellona. Per risollevarsi del tutto mancavano le vittorie, e queste iniziarono ad arrivare quando la stagione sembrava compromessa, dato che Melandri era finito a -82 dalla vetta occupata da Azuma e a -62 da Alzamora: in un&rsquo;ideale staffetta con Azuma &ndash; la coppia del Team Playlife vinse 10 gare! &ndash; il romagnolo infil&ograve; tre successi consecutive. Prima in Germania, dove vinse dopo una bagarre con Alzamora, poi a Brno e Imola. A Valencia, Melandri fece di nuovo uno &ldquo;zero&rdquo; ma poi torn&ograve; alla vittoria a Phillip Island, fu terzo in Sud Africa e secondo a Rio de Janeiro. La gara australiana fu uno dei momenti cruciali della stagione poich&egrave; avvenne un fatto particolare: Alzamora cadde ma seppe rialzarsi e rimontare fino a tagliare il traguardo in quindicesima posizione grazie al compagno di team, Angel Nieto jr., che gli cedette il passo sul traguardo. Quel &ldquo;misero&rdquo; punto si rivel&ograve; decisivo... La gara decisiva. E le annesse polemiche  Prima del conclusivo GP Argentina, la situazione in classifica vedeva Alzamora in testa con 207 punti seguito da Melandri con 201 e Azuma con 190. Allo spagnolo sarebbe bastato un secondo posto, ma al tempo stesso Melandri si sentiva forte: nelle precedenti sei gare in cui aveva tagliato il traguardo, aveva sempre preceduto Alzamora Tuttavia in gara, di fronte a una situazione di tensione che cresceva giro dopo giro, Melandri super&ograve; il limite. Al via, Roberto Locatelli balz&ograve; al comando seguito da Melandri e Alzamora. Poco pi&ugrave; indietro anche Manuel Poggiali, Noboru Ueda e Lucio Cecchinello, mentre Azuma cadde subito. Melandri dovette cercarsi un altro &ldquo;alleato&rdquo; in grado di precedere Alzamora: poteva essere Cecchinello, che prese il largo assieme a Marco, ma anche l&rsquo;attuale team manager in MotoGP scivol&ograve;. Mentre Alzamora super&ograve; Locatelli e sal&igrave; al secondo posto.  A questo punto, la vittoria di un Melandri che aveva preso un vantaggio cospicuo sugli inseguitori non avrebbe avuto alcun valore. Capendo di aver sbagliato strategia, allora, il romagnolo attese lo spagnolo, rallentando vistosamente. Melandri si fece sorpassare e poi prov&ograve; a chiudere la strada in curva al rivale. L&rsquo;intenzione era quella di ostacolarlo per favorire il ritorno di Locatelli. Ma poi si and&ograve; oltre, con un tentativo di &ldquo;spallata&rdquo; per mandare fuori pista Alzamora. Nell&rsquo;ultimo giro le posizioni si cristallizzarono, Marco port&ograve; a casa il successo in gara, ma con il secondo posto Alzamora conquist&ograve; il titolo per un punto. La bufera che si scaten&ograve; dopo offusc&ograve; tutto: ai box venne per poco evitata una discussione accesa tra i due piloti. Lo spagnolo si dichiar&ograve; contento del titolo che reput&ograve; meritato, sebbene non avesse vinto neppure una gara, un fatto raro che non accadeva dal Motomondiale 1989 con Manuel Herreros nella 80. Dall&rsquo;altra parte il romagnolo ribatt&egrave; con parole dure: &ldquo;Credo si sia visto che il pi&ugrave; forte in questa classe &egrave; seduto sulla moto con il numero 13". Melandri si mostr&ograve; rammaricato anche per il mancato aiuto ricevuto dagli altri piloti italiani. "Le moto sono uno sport individuale&rdquo; gliss&ograve; per esempio Locatelli. "Mi sentivo derubato"  Il commento di Marco, a distanza di 21 anni ricostruisce il suo comportamento: &ldquo;Mi sentivo derubato di un campionato che ritenevo mio. Diciamo che non &egrave; stato uno dei gesti pi&ugrave; belli. Credo per&ograve; che se tutto ci&ograve; non fosse avvenuto in quell&rsquo;occasione, magari sarebbe stato un gesto che avrei fatto pi&ugrave; avanti. E invece quando ti succede una cosa del genere impari, e ti fa riflettere per il futuro. Di certo, per&ograve;, a fine gara non andai a complimentarmi con Alzamora, avendo io vinto cinque gare e lui nemmeno una&rdquo;. L&rsquo;allora diciassettenne venne additato come &ldquo;scorretto&rdquo; soprattutto dalla stampa spagnola. La vicenda and&ograve; avanti a lungo e ancora oggi, insieme al brutto infortunio di Mick Doohan in 500 e alla vittoria del Mondiale di Valentino Rossi in 250, quell&rsquo;episodio polemico &egrave; il fatto che pi&ugrave; viene ricordato di quella stagione 1999. Una brutta pagina che Melandri si &egrave; messo alle spalle con il titolo del 2002 in 250. Duelli da leggenda: Jacque e Nakano raccontati da Poncharal       

Pur senza vincere un solo GP, nel 1999 Alzamora conquist&ograve; il titolo per un punto. A Melandri, costretto a inseguire dopo il ko iniziale, non bast&ograve; un recupero prodigioso, e nell&rsquo;ultima gara cerc&ograve; invano il sorpasso, con ogni mezzo. E oggi ammette: "Il mio non fu un bel gesto"

Duelli da leggenda: Alzamora, Melandri e lo "zero" vincente

        Se mi lasci non vale. Chiss&agrave; se in Giappone conoscono la canzone di Julio Iglesias. Racconta di una donna ferita nell&rsquo;orgoglio che per reazione decide di andarsene. Fatta eccezione per il genere, ricorda il benservito di Valentino Rossi alla Honda a fine 2003 per passare alla Yamaha, con cui firm&ograve; un biennale per una dozzina di milioni di Euro annui. &ldquo;Non ti sembra un po&rsquo; caro il prezzo che adesso io sto per pagare?&rdquo; recita una strofa di questa hit che fu composta da due italiani, uno dei quali si chiama proprio Rossi (Luciano). Che avrebbe pagato a caro prezzo il trasferimento, la Casa dell&rsquo;Ala Dorata non lo credeva: in fondo, nella stagione appena archiviata le RC211V avevano vinto 15 GP su 16 e ottenuto 38 podi su 48. Le M1 invece non erano andate oltre un unico terzo posto in gara e il settimo nella classifica piloti, complice un motore troppo scorbutico che spediva a terra i piloti con grande frequenza: Alex Barros, per dire, cadde 16 volte. Honda, quanti addii&nbsp;   Oltre a farsi sfuggire Valentino, la Honda commise l&rsquo;errore di consentirgli di portarsi dietro il capotecnico Jeremy Burgess - che prima dei tre titoli con Rossi ne aveva vinti cinque con Mick Doohan e uno con Wayne Gardner - e buona parte dei meccanici (gli australiani Alex Briggs e Gary Coleman e il belga Bernard Ansiau). Al loro fianco i riconfermati Matteo Flamigni e Brent Stephens (neozelandese), team manager Davide Brivio &ndash; determinante per agganciare il pilota pi&ugrave; forte del momento &ndash; mentre a capo del progetto venne posto Masao Furusawa che spieg&ograve;: &ldquo;Abbiamo apportato molti cambiamenti alla nostra organizzazione nelle competizioni. L&rsquo;obiettivo &egrave; mettere Valentino nelle condizioni di correre per vincere gi&agrave; dalla prima gara a Welkom&rdquo;. Un giudizio non condiviso da Rossi, che la Casa di Tokyo aveva blindato fino al 31 dicembre, impedendogli quindi di scendere in pista con la nuova moto a novembre, mentre da met&agrave; dicembre a met&agrave; gennaio i test erano vietati: &ldquo;&Egrave; un handicap pesante perdere un mese e mezzo di test, in pratica ci siamo giocati i primi due GP&rdquo;. I primi test vennero saltati anche da Nicky Hayden, operato alla mano destra per la microfrattura di Valencia, e da Marco Melandri, anch&rsquo;egli finito sotto i ferri. Una delle prime moto a girare fu invece la Ducati, reduce da una vittoria e nove podi e dal quarto posto finale di Loris Capirossi, riconfermato come Bayliss. Rispetto alle moto dell&rsquo;anno prima, girate al team satellite (piloti Neil Hodgson, campione Superbike 2003, e Ruben Xaus), la nuova Desmosedici cambi&ograve; 915 componenti: il motore guadagn&ograve; dieci cavalli, diminu&igrave; il diametro degli steli della forcella, e anche carene, serbatoio e forcellone furono ridisegnati. In direzione opposta a Rossi si mosse Barros, dopo essersi liberato del contratto con l&rsquo;Altadis, i cui due marchi restarono sulle Yamaha: Gauloises per Rossi e Norick Abe, Fortuna per Melandri e Carlos Checa, gestiti da Herv&eacute; Poncharal. Addirittura sei le Honda ufficiali per Hayden e il brasiliano (HRC Repsol), Colin Edwards, Max Biaggi, Makoto Tamada e Sete Gibernau. Il trionfo di Welkom   Ancor prima che Rossi salisse in sella, per&ograve;, Mick Doohan profetizz&ograve;: &ldquo;Valentino &egrave; un leader e la Yamaha non ne ha uno dai tempi di Rainey e Lawson. Potr&agrave; dirigere la squadra, &egrave; quello di cui c&rsquo;&egrave; bisogno. Guardate la Ferrari, finch&eacute; non &egrave; arrivato Michael Schumacher non c&rsquo;era nessuno che desse una direzione&rdquo;. I test in Malesia confermarono la sua tesi e anche le ultime prove, a Jerez, videro nuovamente Rossi davanti a tutti. Il resto &egrave; storia con il debutto in Sud Africa con la pole e la vittoria dopo un&rsquo;avvincente battaglia con Biaggi. Un trionfo celebrato con un bacio alla sua M1 prima di riportarla al parco chiuso: &ldquo;Le dicevo &lsquo;&Egrave; quasi fatta, dai che ci arriviamo&rsquo;. Volevo dimostrare che &egrave; il pilota che conta, non soltanto in gara, ma nell&rsquo;evoluzione della moto, nella preparazione. Una gara cos&igrave; non arriva per miracolo&rdquo;. Quel giorno le altre Yamaha chiusero dal 9&deg; all&rsquo;11&deg; posto, a 36 secondi dal fenomeno di Tavullia. Rientrato in Italia, Valentino si present&ograve; a Fiorano per provare una monoposto Ferrari di F1 e dopo un paio di testacoda nei primi giri scese sotto la barriera del minuto. A Jerez, nel secondo GP stagionale, segnato dalla forte pioggia, Biaggi and&ograve; ancora in fuga, ma con Gibernau che poi ebbe la meglio. L&rsquo;1-2-3 della Honda interruppe la serie record di 23 podi di Valentino che biss&ograve; la quarta piazza a Le Mans. Vincendo ancora, il catalano si port&ograve; a +10 su Biaggi e +15 su Rossi, che non era cos&igrave; attardato dal debutto in 500. Una stagione combattutissima   La risalita cominci&ograve; al Mugello, davanti a 85.169 spettatori, in una gara in due atti: gi&agrave; prima dell&rsquo;interruzione per pioggia il nuovo beniamino della Yamaha era in testa e torn&ograve; a esserlo negli ultimi giri della gara-sprint (sei giri), disputata con le gomme da asciutto sul bagnato. Soltanto la fortuna evit&ograve; conseguenze gravi a Shinya Nakano e Makoto Tamada, vittime dei cedimenti della posteriore Bridgestone, il primo a 300 km/h in pieno rettilineo. Anche al Montmel&oacute; Vale e Sete furono i protagonisti indiscussi, guadagnando un secondo e mezzo in soli cinque giri. L&rsquo;hondista torn&ograve; al comando all&rsquo;inizio del quartultimo giro prima di subire analoga mossa nello stesso punto, due tornate dopo. Ad Assen Rossi infil&ograve; il terzo successo consecutivo, tutti con pochi decimi sull&rsquo;iberico, ma mancando il podio a Rio e in Germania i due fecero rientrare in gioco Biaggi: in Brasile caddero entrambi, al Sachsenring scivol&ograve; soltanto Gibernau con Rossi quarto. Con una vittoria e un secondo posto il romano sal&igrave; a un punto dalla vetta, occupata dal connazionale. Tuttavia vincendo a Donington e approfittando delle debacle altrui, Vale and&ograve; in vacanza con +22 su ambedue. A Brno, dove per la prima volta i due hondisti ricevettero la RCV Evoluzione, il terzetto si ritrov&ograve; sul podio per l&rsquo;ultima volta in stagione: vinse Gibernau. Il sigillo sul titolo iridato   La gioia dell&rsquo;HRC svan&igrave; all&rsquo;Estoril e a Motegi, malgrado una vittoria e un secondo posto per Tamada: Biaggi usc&igrave; dai giochi con due &ldquo;zero&rdquo;, mentre Gibernau con un quarto e un sesto posto piomb&ograve; a -39 da Rossi. Mondiale archiviato? Nemmeno a parlarne perch&eacute; in Qatar, nella foga di rimontare dal penultimo posto in griglia per la controversa penalit&agrave; del pre-gara, il figlio di Graziano fin&igrave; gambe all&rsquo;aria, permettendo a Gibernau, che insieme a Edwards regal&ograve; la prima doppietta al Team Gresini, di riportarsi a 14 punti. Nelle tre gare restanti per&ograve; Valentino si incoll&ograve; al gradino pi&ugrave; alto del podio e gi&agrave; a Phillip Island si riconferm&ograve; campione, eguagliando il back-to-back del 1988 e 1989 di Eddie Lawson, unico iridato in top class per due stagioni di fila con costruttori differenti. Dopo 12 anni di astinenza la Yamaha era di nuovo in cima al Mondo, mentre la Casa pi&ugrave; grande del Mondo masticava amaro.       

Considerato un salto nel buio, lo storico trasferimento di Rossi dalla Honda alla Yamaha si rivel&ograve; un successo immediato: Valentino conquist&ograve; il titolo mettendo in fila l&rsquo;armata HRC

MotoGP Story: 2004, l'anno del trionfo di Valentino Rossi in Yamaha

        Una &egrave; sopravvissuta 141 anni, l&rsquo;altra 53 stagioni, ed entrambe sono rimpiante da milioni di nostalgici (l&rsquo;ultimo &egrave; stato Casey Stoner). Il 2002 fu un anno storico perch&eacute; furono pensionate le monete nazionali, fra cui la Lira, e la classe 500. E come i prezzi che con il cambio valutario raddoppiarono, anche il regolamento della classe regina stabil&igrave; quasi il raddoppio delle dimensioni dei motori da 500 cm&sup3; a Mille (990 cm&sup3; per essere precisi), con l&rsquo;abbandono della tecnologia a due tempi a beneficio dei quattro tempi. Nel triennio precedente c&rsquo;erano stati tre diversi campioni del Mondo della 500, tutti per la prima volta, una circostanza che non si verificava dal 1984.  Con Alex Criville costretto al ritiro a causa degli attacchi epilettici provocati da un vecchio trauma cranico e Kenny Roberts junior in fase involutiva, l&rsquo;unico che poteva impedire la salita al trono di un quarto neoiridato della classe regina era Valentino Rossi, ultimo campione della 500. Sulla carta il principale sfidante era Max Biaggi, per il quarto anno di fila con il Team Marlboro Yamaha e per di pi&ugrave; in progressione: quarto posto finale nel 1999, seguito dal terzo e dal secondo, sempre aumentando il bottino di vittorie. MotoGP, Bagnaia: &ldquo;Ho chiesto a Ciabatti di fare la 8 Ore di Suzuka&rdquo; I primi test e la superiorit&agrave; Honda  Invece fin dai primi test fu evidente la superiorit&agrave; della Honda RC211V rispetto alla Yamaha M1, che pure era scesa in pista in anticipo. Dopo aver firmato il rinnovo biennale, superando una fase di stallo nelle trattative per lo sfruttamento dei diritti d&rsquo;immagine, Valentino polverizz&ograve; i record sul giro a Sepang (dove utilizz&ograve; per la prima volta i tappi per le orecchie) e Phillip Island. Molti pi&ugrave; dubbi regnavano nel frattempo in casa Yamaha che aveva spostato la sede da Amsterdam a Gerno di Lesmo, in Brianza, e si affidava a un nuovo direttore sportivo, l&rsquo;ex Superbike Davide Brivio. Loris Capirossi, dotato ancora di Honda NSR 500 cos&igrave; come Daijiro Kato che l&rsquo;anno prima aveva dominato la 250 (11 vittorie e tredici podi in 16 GP), inquadr&ograve; subito la questione: &ldquo;Forse nella prima parte del Mondiale ci sar&agrave; equilibrio perch&eacute; le quattro tempi saranno un po&rsquo; indietro nella messa a punto, ma dopo cresceranno, noi resteremo dove siamo&rdquo;. Sia l&rsquo;imolese che Biaggi caddero nei test IRTA di Valencia e soprattutto non riuscirono a migliorarsi pi&ugrave; di tanto. Preceduto dalle Yamaha YZR 500 di Garry McCoy e Shinya Nakano, Max aveva il morale a terra: &ldquo;Adesso il motore conta il 70% della moto, pu&ograve; darti pi&ugrave; o meno vantaggi. In un mese &egrave; difficile fare le rivoluzioni&rdquo;. Capirex allora gli butt&ograve; l&igrave;: &ldquo;Si lamenta della Yamaha lenta? Faccia cambio con la mia Honda&rdquo;. Il primo confronto diretto tra i tre italiani avvenne a marzo, nei test IRTA di Barcellona, e quelli che erano soltanto sospetti furono confermati dal cronometro: Rossi abbass&ograve; di otto decimi la pole dell&rsquo;anno prima e la sua moto risult&ograve; di nove km/h pi&ugrave; veloce della migliore delle M1.  L'esordio a Suzuka  Un mese dopo a Suzuka, nel GP inaugurale, si diedero appuntamento tredici 500 e nove MotoGP: tre Honda per Rossi, Tohru Ukawa e la wild card Shinichi Itoh, le tre Suzuki di Kenny Roberts Jr, Sete Gibernau e Akira Ryo, le Yamaha di Max Biaggi e Carlos Checa e l&rsquo;Aprilia di Regis Laconi. Complice la pioggia, a fare il ritmo furono i piloti di casa, Itoh e Ryo. Rossi infil&ograve; l&rsquo;occasionale compagno di marca all&rsquo;ottavo giro, trovandosi a un secondo e tre decimi dalla Suzuki gommata Dunlop. Colmato il gap, al 16&deg; giro Valentino port&ograve; l&rsquo;attacco decisivo in staccata e da l&igrave; non perse pi&ugrave; la posizione, concedendosi anche il lusso di allungare nell&rsquo;ultimo giro. In Sud Africa invece un errore nella tornata conclusiva gli cost&ograve; il bis, a beneficio di Ukawa mentre Capirossi si tolse lo sfizio di conquistare l&rsquo;ultimo gradino del podio.  Poi venne il cinque maggio e lo sport italiano non sarebbe pi&ugrave; stato lo stesso. A Jerez, nemmeno una sportellata ricevuta al secondo giro da Kenny Roberts Jr e la concomitante fuga di Ukawa impedirono a Rossi di prendersi il secondo successo stagionale. Con lui sul podio Kato e Ukawa, mentre Capirossi fu medaglia di legno e Biaggi, vittima di una partenza anticipata, incapp&ograve; nella bandiera nera per non aver effettuato lo stop-and-go nei tempi previsti. Aggiungendo la caduta in Giappone dopo aver messo la ruota davanti sulla riga bianca e il nono posto in Sud Africa per un guaio alla frizione, il romano si trov&ograve; al penultimo posto della classifica con la miseria di sette punti dopo tre round: soltanto Pere Riba, attuale capotecnico di Jonathan Rea, ne aveva di meno. Rimontare 61 punti a Rossi, in fuga con 29 lunghezze di vantaggio sul compagno Ukawa, apparve subito un&rsquo;impresa disperata. E il nervosismo sal&igrave; al punto che al Mugello, di fronte al &ldquo;no&rdquo; degli uomini di Iwata a concedergli l&rsquo;hospitality Yamaha per la cena con i suoi tanti ospiti, parenti e amici, Max lanci&ograve; il proprio scooter a tutta velocit&agrave; contro il tendone in questione&hellip; Rossi imbattibile  A differenza della sua Inter, che il 5 maggio gett&ograve; alle ortiche inopinatamente lo scudetto all&rsquo;ultima giornata, Rossi non perse pi&ugrave;. Valentino vinse sette GP consecutivi, serie mai inanellata in precedenza (e mai pi&ugrave; ripetuta in seguito). Ci&ograve; unito alle prestazioni incostanti dell&rsquo;unico dotato della sua stessa moto, Ukawa, costretto anche a saltare la gara di Donington per un volo a 200 km/h alla curva Craner, port&ograve; all&rsquo;archiviazione della pratica gi&agrave; alla sosta: con 220 punti guadagnati su un massimo di 225, Rossi si trov&ograve; con 96 lunghezze di vantaggio su Ukawa, primo inseguitore, e il doppio del bottino di Biaggi, diventato terza forza. Alla ripresa, vincendo a Brno e con il concomitante zero del fuggitivo, tradito dal pneumatico posteriore, Max credette per qualche giorno di poter emulare Steven Bradbury, sei mesi prima diventato campione olimpico sui 1000 metri short track grazie alle disgrazie altrui. Invece, sotto l&rsquo;acqua dell&rsquo;Estoril e di Rio, Rossi torn&ograve; a far valere la sua legge. E proprio in Brasile, grazie alla caduta di Ukawa al 2&deg; giro, divenne aritmeticamente campione, primo e unico iridato in quattro classi. Una gioia festeggiata con la t-shirt con davanti la scritta &lsquo;Ecco perch&eacute; ho vinto il Mondiale MotoGP 2002&rsquo; e sul retro un cruciverba di 240 caselle. Ammettendo: &ldquo;Ero convinto che la 500 andasse pi&ugrave; forte, sbagliavo clamorosamente&rdquo;. MotoGP, Enea Bastianini: &ldquo;Inferiorit&agrave; tecnica nel 2022? La vivo come una sfida&rdquo;       

Il 2002 coincise con l&rsquo;arrivo dell&rsquo;Euro e delle mille quattro tempi: il primo anno della MotoGP venne dominato dal binomio Rossi-Honda

MotoGP Story: il 2002, l'alba di una nuova era

Arrivare alla fine di un campionato e giocarsi il titolo all&rsquo;ultimo GP, come se l&rsquo;intera stagione si fosse trasformata in una gara secca. Servono nervi saldi per affrontare sfide del genere, dove in un attimo si pu&ograve; diventare campioni del Mondo o primi dei perdenti. Questa situazione si prospett&ograve; a Max Biaggi sia nel 1996 che nel 1997. Due sfide secche per il titolo, nelle quali il romano torn&ograve; Corsaro, per due vittorie storiche. In entrambe le occasioni Biaggi duell&ograve; con l&rsquo;indimenticato Ralf Waldmann, scomparso nel 2018: la prima volta con moto diverse &ndash; Aprilia per Biaggi, Honda per il tedesco &ndash; poi entrambi sulla Honda, con Max desideroso di dimostrare che l&rsquo;anno prima il Mondiale era arrivato in casa Aprilia perch&eacute; era stato lui a fare la differenza. Il teatro del duello fu sempre l&rsquo;Australia, nel primo caso a Eastern Creek, nel secondo a Phillip Island. Biaggi e Waldmann vinsero un GP a testa &ndash; con il rivale secondo &ndash; ma in entrambe le occasioni il titolo fu di Max.  Duelli da leggenda: Jacque e Nakano raccontati da Poncharal  Il brivido del 1996   Quella del terzo titolo nella 250 fu una stagione complicata per Biaggi. E dire che era iniziata nel migliore dei modi, inanellando vittorie e accumulando un vantaggio di ben 69 punti sugli avversari. Ma poi arrivarono tre cadute nello spazio di cinque gare, a Zeltweg (nella carambola con Olivier Jacque), Imola e Rio de Janeiro, unite alla rottura con l&rsquo;Aprilia. Improvvisamente il terzo Mondiale consecutivo non sembrava pi&ugrave; cos&igrave; a portata di mano. Invece a Eastern Creek, dove si arriv&ograve; con Biaggi a +1 su un Waldmann reduce da undici podi consecutivi, il Corsaro vinse d&rsquo;autorit&agrave; il Gran Premio e l&rsquo;iride, entrando nella leggenda: prima di lui, infatti, soltanto Walter Villa era riuscito a vincere tre mondiali nella 250 (nel 1974, 1975 e 1976). Alla fine della stagione 1996, Biaggi si ritrov&ograve; secondo soltanto a Phil Read, vincitore di quattro Mondiali della categoria intermedia.    Alfa e Omega   Per arrivare a questo punto, Biaggi seppe gestire alla perfezione il GP conclusivo di quel 1996. Il romano inizi&ograve; bene il weekend fin dalle qualifiche, strappando la pole position con il crono di 1&rsquo;31&rdquo;718. Waldmann stacc&ograve; il quarto tempo, unico tra i primi 20 a non migliorare il crono nel secondo turno di qualifiche. Tra loro si piazzarono il francese Jacque e il tedesco J&uuml;rgen Fuchs, tutti su Honda. Dopo Biaggi, la prima Aprilia fu quella di Roberto Locatelli, ottavo. Si corse sull&rsquo;asciutto &ndash; la pioggia era arrivata soltanto nella notte precedente &ndash; e Biaggi scatt&ograve; bene, Waldmann gli si incoll&ograve; in scia, mentre Jacque, Fuchs e Tohru Ukawa non riuscirono a far parte della bagarre: il duello per la vittoria era riservato soltanto ai contendenti al titolo. Il vincitore del GP si sarebbe preso anche il titolo. Per otto giri Max fece la lepre, poi decise di lasciar passare il rivale sul rettilineo.  E con estrema lucidit&agrave; Biaggi studi&ograve; il tedesco, per tornare al comando e inanellare giri veloci, fino ad accumulare un vantaggio di quasi quattro secondi. A quel punto Waldmann fu costretto a deporre le armi. Il terzo, Jacque, si piazz&ograve; a oltre 18&rdquo; da Biaggi. La seconda Aprilia al traguardo, con Locatelli, fu nona a 46&rdquo;. Max si prese il titolo con sei punti su Waldmann. E proprio Eastern Creek segn&ograve; l&rsquo;inizio e la fine del triennio di dominio di Biaggi e dell&rsquo;Aprilia: qui era arrivato il successo nel primo GP del 1994 e qui arriv&ograve; il trionfo &ndash; il 22&deg; per il binomio che rese Max il Corsaro Nero &ndash; nell&rsquo;ultimo.  Gioia incontenibile   &ldquo;Diventare campione del Mondo per la terza volta era veramente il mio sogno&rdquo; disse Max Biaggi a Motosprint dopo la vittoria. &ldquo;Mi sono reso conto di provare una grande emozione, una gioia incontenibile, mentre percorrevo il giro d&rsquo;onore. Non riuscivo pi&ugrave; a far nulla, n&eacute; ad accelerare n&eacute; a frenare, ero come inebetito da quello che mi stava succedendo. &Egrave; stato sicuramente il momento pi&ugrave; bello della mia vita&rdquo; aggiunse Biaggi, all&rsquo;epoca 25 anni.    La belva affamata   Le persone vicine a Max capirono subito il valore di questo titolo mondiale. &ldquo;Max nella vita non ha mai avuto la &lsquo;pappa pronta&rsquo; e ha dovuto e deve continuamente conquistare le sue certezze&rdquo; rivel&ograve; a Motosprint l&rsquo;indimenticato presentatore TV Fabrizio Frizzi, grande amico di Biaggi. &ldquo;Ha un senso di rivalsa contro qualcosa che soltanto lui sa; per questo vuole dimostrare, a se stesso prima che agli altri, di essere una persona forte. Come pilota &egrave; un grandissimo professionista, uno che non d&agrave; nulla per scontato e che fisicamente si prepara sempre di pi&ugrave; e meglio dell&rsquo;anno precedente. Quando sale sulla moto &egrave; una belva che si alimenta dei suoi successi, ma quando sveste i panni del pilota &egrave; un ragazzo eccezionale, dalla personalit&agrave; complessa, ma di gran de tenerezza, &egrave; affettuoso, sensibile&rdquo;.  La lucidit&agrave; del 1997   Dopo lo storico passaggio dall&rsquo;Aprilia alla Honda, Biaggi torn&ograve; a lavorare con il team di Erv Kanemoto, per cui aveva corso gi&agrave; nel 1993. E il secondo debutto sulla NSR 250, in Malesia, fu subito vincente. &ldquo;Quella vittoria, rifilando un secondo in prova al secondo miglior pilota Honda e non so quanti all&rsquo;Aprilia, mi fece capire di poter vincere il Mondiale&rdquo; disse Biaggi alla fine della stagione. Per arrivare al successo, per&ograve;, la strada non fu semplice, anche per via di una concorrenza agguerrita, con il compagno di squadra Waldmann e l&rsquo;altro pilota Honda Jacque, e con la coppia Aprilia formata da Tetsuya Harada e Loris Capirossi, tornato in 250 proprio per sostituire il grande rivale Biaggi. Si arriv&ograve; a Phillip Island con Biaggi a +6 su Harada e +7 su Waldmann, merito del sorpasso di Max in Indonesia, dove conquist&ograve; il quinto successo stagionale (compresa la doppietta italiana, al Mugello e Imola). Al romano sarebbe bastato un secondo posto, e tanto fece. Il GP Australia inizi&ograve; con la pole position di Biaggi, in 1&rsquo;34&rdquo;789, rifilando oltre tre decimi a Waldmann. Alle loro spalle, a oltre un secondo, Harada. Al via Waldmann e Biaggi fecero subito il vuoto mentre Harada pag&ograve; la botta rimediata il sabato in prova, e non riusc&igrave; a emergere dal gruppo, e si ritrov&ograve; a lottare con una wild card decisamente veloce, un tale Troy Bayliss (con la Suzuki) che di l&igrave; a poco avrebbe fatto parlare di s&eacute; con le quattro tempi...    Waldmann si mostr&ograve; subito veloce e preciso, persino troppo: il suo ritmo si rivel&ograve; talmente elevato che nessuno, tranne Biaggi, riusc&igrave; a sostenerlo. E al tedesco sarebbe invece servito un pilota in grado di precedere Max. Gli inseguitori, capitanati da Jacque, chiusero con oltre 27 secondi di distacco. Il secondo posto bast&ograve; al romano per vincere il quarto Mondiale consecutivo, con soltanto due punti di vantaggio su Waldmann. &ldquo;Pi&ugrave; che vincere la gara cosa dovevo fare?&rdquo; disse il tedesco. &ldquo;Nemmeno per un momento ho pensato di aspettare gli altri piloti. Io volevo arrivare primo a tutti i costi per dimostrare la mia forza&rdquo;. Per Biaggi, l&rsquo;irripetibile carriera in 250 &ndash; con quattro titoli consecutivi e ben 29 gare vinte &ndash; si chiuse da campione del Mondo.  &ldquo;Fatemi volare qualche ora&rdquo;   Alla fine del GP Australia del 1997 la soddisfazione di Max Biaggi fu incontenibile. &ldquo;Lasciatemi volare per qualche ora, poi quando torner&ograve; sulla Terra riuscir&ograve; a parlare&rdquo; disse all&rsquo;inviato di Motosprint. &ldquo;&Egrave; il mio quarto titolo, sicuramente il pi&ugrave; sofferto. Siamo partiti alla grande in Malesia per poi passarne di tutti i colori durante una stagione lunghissima. Alla fine sono riuscito a sfruttare la mia miglior qualit&agrave;: quella di non mollare mai, nemmeno quando tutti mi davano per sconfitto. Ho vinto una scommessa che soltanto quattro gare fa sembrava impossibile&rdquo;. A quattro GP dalla fine della stagione, infatti, Max era a 22 punti da Harada: il Mondiale sembrava compromesso.    Questo suo titolo ebbe un sapore ancora pi&ugrave; dolce, perch&eacute; fu una rivincita su chi diceva che l&rsquo;Aprilia era la moto pi&ugrave; veloce e che chiunque sarebbe riuscito a vincere con la moto di Noale. Fu la vittoria dell&rsquo;uomo Max Biaggi. Che con l&rsquo;Aprilia torner&agrave; a correre e a vincere, conquistando due titoli in Superbike nel 2010 e nel 2012. E oggi Max &egrave; anche brand ambassador della Casa di Noale. Perch&eacute; come dice la canzone di Antonello Venditti &ldquo;Certi amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano&rdquo;.  Duelli da leggenda: la vittoria del privatissimo Tournadre 

Biaggi si aggiudic&ograve; due Mondiali consecutivi all&rsquo;ultimo GP: stesso rivale, l&rsquo;indimenticato Waldmann, medesimo Paese, l&rsquo;Australia, ma piste differenti. E nel mezzo, il passaggio dall&rsquo;Aprilia alla Honda

Duelli da leggenda: Max Biaggi e l&#39;indimenticato Ralf Waldmann

Testa o croce, bianco o nero, yin e yang: la stagione 1983 della classe 500 si svilupp&ograve; lungo l&rsquo;asse Roberts-Spencer, senza contemplare soluzioni intermedie in nessuno dei 12 GP del Mondiale. O vinceva l&rsquo;uno o si imponeva l&rsquo;altro, un duopolio senza precedenti negli ultimi 40 anni della classe regina. Alla leggendaria sfida tra i due statunitensi contribu&igrave; la contrapposizione tra le altre variabili della contesa: Kenny con la Yamaha dotata di gomme Dunlop, una guida rotonda, tre Mondiali gi&agrave; in bacheca, Giacomo Agostini e l&rsquo;ex pilota Kal Carruthers (iridato con la Benelli in 250 nel 1969) a guidarlo nei box.    Duelli da leggenda: la vittoria del privatissimo Tournadre  Una contesa tiratissima   All&rsquo;altro angolo del ring l&rsquo;emergente Freddie con la Honda, i pneumatici Michelin, uno stile che lo portava a spigolare le curve ed Erv Kanemoto (nessuna esperienza in sella ma soltanto ai box) nelle vesti di capotecnico. Ad aggiungere pepe alla contesa, l&rsquo;annuncio di Roberts di appendere il casco al chiodo al termine della stagione, a prescindere dal risultato finale. Gi&agrave;, perch&eacute; si trattava anche di un duello generazionale: tra il californiano pluriiridato e la giovane stella della Louisiana, la differenza era di dieci anni esatti.  Il ventunenne Fast Freddie inizi&ograve; il 1983 alla grande vincendo i primi tre GP, guadagnando 25 punti di vantaggio sul rivale (la vittoria ne attribuiva 15). King Kenny, beffato a Monza prima da una scivolata alla Parabolica quando era al comando e poi, una volta risalito in sella, dall&rsquo;esaurimento del carburante, trionf&ograve; in Germania Ovest e Austria, finendo secondo in Spagna. E cos&igrave; a met&agrave; campionato il suo ritardo era sceso a sei lunghezze. Spencer vinse anche in Jugoslavia una corsa in cui il rivale fin&igrave; quarto dopo una furiosa rimonta, obbligata dalla partenza disastrosa (ai tempi ancora a spinta) che costituiva spesso il punto debole per Roberts e la Yamaha. Ma il californiano si riscatt&ograve; con una tripletta, in Olanda (nella gara che rischi&ograve; di essere fatale al campione uscente Franco Uncini), Belgio e Gran Bretagna. E in quel modo, il Marziano si port&ograve; a due punti dalla vetta. Restavano il penultimo round, in Svezia, e il successivo, un mese dopo, a Imola.    Nervi tesi in Svezia   Ad Anderstorp, Roberts sembrava destinato alla vittoria ma alla penultima curva fu infilato da Spencer. I due finirono larghi, sull&rsquo;erba, e Freddie fu il pi&ugrave; rapido a rientrare: il pilota della Honda vinse per 16 centesimi e port&ograve; il suo vantaggio in campionato a cinque punti. Roberts la prese malissimo: &ldquo;Gli parlai subito dopo, ma nulla di quanto dissi era pubblicabile. Se avesse detto una parola l&rsquo;avrei fatto volare gi&ugrave; dall&rsquo;auto&rdquo; disse riferendosi alla Mercedes cabrio su cui salivano i primi tre all&rsquo;arrivo per effettuare il giro d&rsquo;onore e salutare il pubblico. Poich&eacute; il secondo classificato incassava 12 punti, nel GP San Marino al californiano dagli occhi di ghiaccio non sarebbe bastato vincere per conquistare il trono: Spencer sarebbe dovuto arrivare terzo o peggio.  Roberts aveva bisogno di un alleato, tuttavia le altre due OW70 ufficiali erano guidate dal compagno di squadra Eddie Lawson, ancora troppo acerbo nel suo primo anno completo in Europa, e Marc Fontan (Team Sonauto), mai a podio. Si vocifer&ograve; persino che Agostini avesse chiesto aiuto a Virginio Ferrari, che in tutta la stagione con la Cagiva non aveva conquistato nemmeno un punto. Roberts non se ne preoccup&ograve; pi&ugrave; di tanto e approfitt&ograve; della lunga sosta per viaggiare con la prole, come spieg&ograve; una volta arrivato al circuito, ai tempi intitolato al solo Dino Ferrari: &ldquo;&Egrave; stato un mese di vacanza, i miei bambini sono qui perch&eacute; questa &egrave; la mia ultima corsa in Europa, la loro ultima chance di vedere il loro pap&agrave; come pilota da GP. Vivono con la mia ex moglie in California, cos&igrave; se gareggiassi ancora nel Mondiale non avrei abbastanza tempo per loro, per questo mi ritiro dai Gran Premi&rdquo;.  Kenny conquist&ograve; la pole position a Imola con un tempo di 1&rsquo;53&rdquo;49, ma Spencer con 1&rsquo;54&rdquo;00 si tenne dietro tutti gli altri. Questo sanc&igrave; il primo pareggio del weekend: sei pole stagionali a testa. In prima fila anche Marco Lucchinelli, all&rsquo;ultima uscita con la Honda ufficiale (1&rsquo;54&rdquo;65) dove era arrivato due anni prima da iridato ma con cui non aveva mai vinto, Randy Mamola con la Suzuki (1&rsquo;54&rdquo;96) e Lawson (1&rsquo;55&rdquo;00). Roberts conosceva a menadito gli allora 5040 metri di Imola, avendoci corso sin dal lontano 1974, con due successi nella 200 Miglia.  A Imola la resa dei conti   Al via, per&ograve;, le Honda NS 500 a tre cilindri mostrarono le loro qualit&agrave;: Spencer scatt&ograve; subito in testa seguito da Lucchinelli e Ron Haslam, anche se quest&rsquo;ultimo venne presto scavalcato da Roberts. Al quarto giro Kenny infil&ograve; anche Lucky, guadagnando la seconda piazza, mentre Lawson era risalito in quarta, seppur a debita distanza. Grazie anche al nuovo record della pista, a 160,056 km/h di media, nel giro di altre quattro tornate il leader della corsa cambi&ograve;, con l&rsquo;ingresso vincente di Roberts su Spencer alla staccata della Tosa. Tuttavia per completare il ribaltone in classifica sarebbe servito il secondo posto di Lawson, il quale invece faticava a mettersi dietro Lucchinelli.  Davantti a 80mila spettatori, i due rivali per il titolo si scambiarono la posizioni altre quattro volte nei nove giri seguenti. Approfittando delle chicane il californiano rallentava quel tanto che bastava per aumentare i tempi sul giro, cos&igrave; da aiutare la rimonta di Lawson. &ldquo;Kenny era veloce in pista e lento allo stesso tempo &ndash; spieg&ograve; dopo l&rsquo;arrivo Spencer &ndash; ogni volta che potevo, senza rischiare, cercavo di superarlo per allungare e non dare corda alla sua tattica. Pi&ugrave; che dura, &egrave; stata una gara strana&rdquo;.  Soltanto al giro numero 17 Eddie si liber&ograve; della compagnia del ligure, poi ringraziato pubblicamente da Freddie, e a cinque tornate dalla fine ridusse il ritardo a cinque secondi dal duo di testa. Al 21&deg; passaggio Spencer torn&ograve; in testa per scongiurare l&rsquo;aggancio ma alla Tosa venne ripassato da Roberts. La sua iniziativa ebbe in ogni caso effetto perch&eacute; al penultimo giro l&rsquo;altra Yamaha era lontana sei secondi e mezzo. All&rsquo;ultimo giro Spencer rinunci&ograve; a correre rischi e fin&igrave; secondo a 1&rdquo;23 da Roberts &ndash; ma davanti a Lawson di oltre sei secondi &ndash; che pareggi&ograve; anche il conto delle vittorie in quel campionato: sei a testa. Il neopensionato era inoltre avanti per il numero dei giri veloci in gara, sette contro i tre del neocampione del Mondo. Un dato figlio delle rimonte a cui spesso Roberts era costretto dalle partenze deficitarie.  Il trionfo di Spencer   Ma nella classifica che pi&ugrave; contava, quella del Mondiale, Spencer prevalse per due punti e nel giro di rientro trov&ograve; ad attenderlo in pista la fidanzata Sarie Joubert, che due anni dopo sarebbe finita quarta a Miss USA, nonostante il punteggio pi&ugrave; alto di tutte (9,311) alla voce &ldquo;Intervista&rdquo;. Quel giorno del settembre del 1983, per&ograve;, tutti gli occhi erano puntati sul suo Freddie e sulla Honda, allo storico primo titolo piloti della 500 dopo un inseguimento iniziato nel lontano 1966. Un titolo che apr&igrave; una nuova era, non tanto per Spencer &ndash; capace di compiere l&rsquo;impresa dei titoli di 250 e 500 nello stesso anno, il 1985, prima del crollo repentino &ndash; ma della Honda. Da quel 1983 al 2019, l&rsquo;HRC ha conquistato 21 titoli piloti e 24 costruttori nella top class.  Duelli da leggenda: Jacque e Nakano raccontati da Poncharal 

Fast Freddie seppe resistere alla rimonta di King Kenny, che pur conquistando l&rsquo;ultima gara nel mondiale non riusc&igrave; a ritirarsi da campione della 500. Il giovane Spencer fu il primo a vincere con la Honda nella classe regina

Duelli da leggenda: quando Freddie Spencer pieg&ograve; Kenny Roberts

La Francia motociclistica pu&ograve; tornare a riversarsi sulle strade delle citt&agrave; per festeggiare un titolo nel Motomondiale che mancava dal 2016, anno del secondo titolo in Moto2 di Johann Zarco che oggi condivide la Top Class con il neo Campione del Mondo, Fabio Quartararo.&nbsp;  Prima del 22enne di Nizza, per&ograve;, nessun pilota d&#39;Oltralpe era riuscito a laurearsi campione del mondo della MotoGP. Se torniamo indietro nel tempo, infatti, il miglior risultato ottenuto da un francese nella Top Class, a fine stagione, &egrave; stato il terzo posto centrato su Yamaha da Christian Sarron (due volte terzo in 500 nel 1985 e nel 1989), e Raymond Roche, terzo nel 1984 in 500 (anno peraltro del titolo conquistato proprio di Sarron in 250).&nbsp;  Degli altri francesi transitati dalla 500/MotoGP (Bayle, Tournadre, Ruggia, Pons, De Puniet, Di Meglio, Guintoli, Laconi e compagnia) solo risultati lontani dalla top 3, per via di moto anche non all&#39;altezza del talento mostrato negli anni precedenti dagli stessi piloti in questione.  I precedenti, tra classi cadette e SBK   Prima del titolo di Quartararo, la Francia nel Motomondiale poteva vantare titoli solamente nelle due classi propedeutiche alla 500/MotoGP: la 125 (ora Moto3) e la 250/Moto2, ma i transalpini coronati si possono contare sulle dita di una mano: oltre al gi&agrave; citato Christian Sarron (1984, 250), troviamo infatti Olivier Jacque (2000, 250 dopo un acceso duello con il compagno di box Nakano), Arnaud Vincent (2002, 125), Mike Di Meglio (2008, 125) e Johann Zarco (2015 e 2016, Moto2).  Allargando invece il campo alle derivate di serie, ecco che Quartararo pu&ograve; andare a fare compagnia ad altri due illustri connazionali. Stiamo parlando di Sylvain Guintoli (2014, Aprilia) e Raymond Roche (1990, Ducati), entrambi capaci di conquistare il titolo nell&#39;altra categoria regina del motociclismo.  Fabio Quartararo: da giovane stellina a primo campione francese della MotoGP   

Il pilota nizzardo &egrave; il primo transalpino a centrare un titolo mondiale nella top class. Vediamo cosa hanno fatto i suoi connazionali

MotoGP, Quartararo e quel titolo che nessun francese aveva vinto prima

Quel giorno purtroppo &egrave; arrivato. Stiamo parlando del decennale della morte di Marco Simoncelli avvenuta al primo giro della gara di Sepang del 2011. Da quel giorno la vita della famiglia del Sic ma anche della sua ex fidanzata Kate sono cambiate radicalmente. Ora Kate lavora per la Fondazione Marco Simoncelli, nata a dicembre del 2011. &nbsp; Marco era l&rsquo;erede designato di Valentino Rossi in quanto a personalit&agrave; e modo di porsi. Senza quell&rsquo;incidente sarebbe andato in Ducati, come ammesso dallo stesso Valentino in una puntata di Sfide. Era gi&agrave; tutto fatto con gli uomini di Ducati per passaggio del Sic nel 2013 a Borgo Panigale.    La vita del Sic   Marco Simoncelli nasce a Cattolica il 20 gennaio 1987 crescendo poi nel piccolo paese di Coriano, sempre in provincia di Rimini. Quella Coriano che ha visto Marco crescere e fare su e gi&ugrave; con la moto del pap&agrave; per la strada del paese fino a che un giorno non ha trovato la zia che stava venendo su. Risultato? Incidente inevitabile con la zia rimasta incastrata nella macchina con la fiancata rientrata per la botta. &nbsp; Nel 2006 incontra per caso quella che diventer&agrave; poi la sua fidanzata, Kate Fretti. &nbsp; Negli anni successivi poi incontrer&agrave; Valentino Rossi e i due diventeranno grandi amici allenandosi insieme alla cava (quella che poi sarebbe diventato il Ranch con l&rsquo;Academy). L&rsquo;assurdo tragico destino &ldquo;vuole&rdquo; che ci sia proprio Rossi nell&rsquo;incidente fatale di Marco quel 23 ottobre 2011 a Sepang.  La carriera: le minimoto   Come tutti i ragazzi della sua et&agrave;, Marco inizia con le minimoto. Inizia a correre a 7 anni insieme a piloti del calibro di Pasini, suo grande amico, e Dovizioso. Nel biennio 99-2000 &egrave; campione italiano e sempre nel 2000 disputa l&rsquo;europeo chiudendo al secondo posto. A 14 anni disputa sia il trofeo NR che il campionato italiano 125.  Il Motomondiale: la 125   Il 2002 &egrave; l&rsquo;anno del debutto di Marco Simoncelli nella 125 mondiale dopo aver ben impressionato in quella italiana ed europea. Debutta a Brno con l&rsquo;Aprilia del team di Matteoni in coppia con il coetaneo Chaz Davies. Chiude la stagione al 33&deg; posto con un 13&deg; posto in Portogallo come miglior risultato &nbsp; La stagione 2003 &egrave; la prima completa di Marco in 125. Ha come compagno di squadra Mirko Giansanti. Termina 21&deg; in campionato con il 4&deg; posto di Valencia come miglior risultato in gara. &nbsp; Nel 2004 passa al team Rauch Bravo con compagno di squadra Steve Jenkner. Ottiene la prima pole e la prima vittoria a Jerez sotto l&rsquo;acqua, a Brno centra un&rsquo;altra pole sempre sotto l&rsquo;acqua ma in stagione non va oltre l&rsquo;11&deg; posto finale a causa di problemi tecnici e cadute. &nbsp; Stesso team anche per il 2005 che viene per&ograve; rinominato Nocable.it Race con compagno di squadra lo spagnolo Joan Oliv&egrave;. Vince un&#39;altra gara a Jerez e sale sul podio diverse volte ma a met&agrave; stagione &egrave; fuori dalla lotta per il titolo a causa di problemi di feeling con la 125 per via della sua stazza. Chiude al quinto posto in campionato.  Gli anni in 250  Per la sua stazza &egrave; pi&ugrave; consona una moto un po&rsquo; pi&ugrave; grande e dunque il Sic passa alla 250 con la Gilera. Nel biennio 2006-2007 non ottiene risultati eclatanti in campionato chiudendo entrambi gli anni al 10&deg; posto in campionato. 6&deg; posto in Cina nel 2006, 6&deg; posto in Francia ed Olanda nel 2007 i migliori risultati in gara. Per la cronaca, nel 2006 aveva la Gilera RSV250 ufficiale, toltagli nel 2007 per la RSV250LE. &nbsp; Per la stagione 2008 a Marco danno la RSA250, ancora non ufficiale. Non inizia nel migliore dei modi la stagione, doppio zero nelle prime due gare. Prima pole in 250 in Portogallo e prima vittoria al Mugello in un ultimo giro particolare con contatto con Hector Barbera. A met&agrave; stagione gli ridanno la moto ufficiale e Marco letteralmente vola verso il suo primo ed unico mondiale in carriera centrato a Sepang con il terzo posto. Un giro d&rsquo;onore che rimarr&agrave; impresso per sempre: lui senza casco, capelli al vento e braccia aperte come le ali di un angelo. Lo stesso che tre anni dopo lo porter&agrave; in cielo. &nbsp; Nonostante il titolo vinto, per il 2009 decide di rimanere in 250 e provare a riconfermarsi come hanno fatto prima di lui Pedrosa e Lorenzo. Salta la prima gara in Qatar per infortunio, lotta con Pasini al Mugello sotto l&rsquo;acqua, vince nuovamente al Sachsenring ed a Brno ma a Misano scivola e perde punti preziosi per il campionato, gi&agrave; partito male per via dell&rsquo;infortunio invernale. Chiude la stagione al terzo posto dietro Aoyama e Bautista. E&rsquo; il canto del cigno della 250 prima dell&rsquo;avvento della Moto2 l&rsquo;anno successivo.  La parentesi Superbike   Nel 2009 Aprilia lo chiama in Superbike per sostituire l&rsquo;infortunato Nakano nel round di Imola al fianco di Max Biaggi. In qualifica si posiziona ottavo in griglia mentre gara-1 finisce nella sabbia della Tosa. In gara-2 &egrave; protagonista di una bella rimonta culminata con il sorpasso su Biaggi alla Variante Bassa per la terza posizione.  La MotoGP   Per la stagione 2010 passa in MotoGP con la Honda RCV211 del team San Carlo Gresini con compagno di squadra Marco Melandri, cavallo di ritorno della formazione. Chiude la prima stagione all&rsquo;8&deg; posto con 125 punti ed il 4&deg; posto in Portogallo come miglior risultato in gara. &nbsp; Nel 2011 rimane con il team Gresini con compagno di squadra Hiroshi Aoyama, ex campione 250. In Qatar e Francia arriva due volte quinto, centra la prima pole di carriera a Barcellona, va in pole anche ad Assen ma la gara finisce subito per un contatto con Jorge Lorenzo. Sfiora la vittoria a Jerez sul bagnato, centra il primo podio di carriera a Brno con il terzo posto, nella gara di casa di Misano &egrave; quarto dopo una accesa battaglia con Dovizoso e Spies ed un bel sorpasso all&rsquo;amico Rossi. A Phillip Island coglie quello che &egrave; il suo ultimo podio in MotoGP, secondo alle spalle del vincitore Stoner in un bel duello ancora con Dovizioso. &nbsp; A Sepang una settimana dopo finisce tutto. Al secondo giro mentre &egrave; in bagarre con Bautista cade alla curva 11. Marco riesce a tenerla su con il ginocchio ma la moto ha una strana deviazione verso il centro della pista. In quel preciso istante passano Edwards e Rossi che non riescono ad evitarlo. Simoncelli rimane a terra esanime e senza casco, sfilatosi nell&rsquo;impatto con una delle due moto. I soccorsi sono immediati ma il Sic &egrave; praticamente morto sul colpo come confermato dal pap&agrave; Paolo, inutile ogni tentativo anche al centro medico. Troppo gravi le lesioni a testa, collo e torace. &nbsp; Prima della gara di Valencia, il suo idolo Kevin Schwantz sale sulla moto #58 per guidare tutto il plotone del Motomondiale per il giro di casino voluto dal pap&agrave; di Marco in onore del figlio.   

Nel decennale della morte del Sic avvenuta a Sepang, ne ricordiamo la vita e la carriera attraverso anche qualche aneddoto da lui stesso raccontato nelle trasmissioni televisive

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